Neocons – il tempo non mente mai


Gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970

Gli anni ’60 furono caratterizzati dalla messa in discussione della morale e dei principi che fino a quel momento avevano caratterizzato la società civile, e del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Chi fino a quel momento non aveva avuto diritto all’autodeterminazione, chi era stato segregato sin dalla nascita, si rifiutò di continuare a vivere in quelle condizioni: femministe ed attivisti per i diritti degli afroamericani iniziarono a far sentire la loro voce e a manifestare per una nuova visione della vita e della società.

Erano gli anni del divorzio, della pillola contraccettiva e della guerra in Vietnam. Una guerra disastrosa che provocò la morte di migliaia di soldati statunitensi, 30.000 già nel 1968.
Quando una guerra si perde mostra a chiunque la sua brutalità, difatti nacquero in tutto il paese gruppi pacifisti che misero in dubbio le guerre per la “libertà” degli Stati Uniti. Gruppi che si diffusero a macchia d’olio davanti ai consolati USA di tutto il mondo, al grido “Yankee go home”. Martin Luther King, che in quel periodo aveva radunato in piazza più di 200.000 persone, definiva la guerra “il vero nemico dei poveri” e migliaia di giovani disertarono, rifiutandosi di combattere la guerra in Vietnam.
La contestazione della guerra del Vietnam (storicamente.org)

La Guerra Fredda non poté che subire un freno. Dopo venti anni di conflitto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica gli obiettivi delle due potenze non risiedevano più nella sola aggressione reciproca, ma anche in accordi bilaterali. Il primo fu sul disarmo nucleare, mentre nel giugno del 1963 fu instituita una linea telefonica permanente tra Casa Bianca e Cremlino per la gestione delle emergenze. Nel 1967 firmarono il “Trattato sullo spazio extra-atmosferico” che vietava l’uso dello spazio per fini nucleari, mentre nel 1968 il trattato riguardava lo stop alla proliferazione delle armi nucleari nel mondo.

Le condizioni sociali e politiche degli anni ’60 stavano portando ad una nuova visione delle persone, basate sui diritti dell’individuo e la libertà d’essere, contro i precetti religiosi e tradizionali. La politica iniziò a preferire le relazioni bilaterali e le persone non erano più interessate ad un conflitto tra due blocchi, in un mondo che stava diventando sempre più complesso.

Non tutti, però, avevano intenzione di accettare questi cambiamenti. All’interno del partito che appoggiava (moderatamente) le rivoluzioni civili e le distensioni dei rapporti con l’URSS – il partito democratico – insorse un gruppo di suoi componenti e sostenitori, i quali ritenevano inaccettabile tenere dei rapporti pacifici con la Russia comunista. Per loro la guerra fredda rappresentava innanzitutto uno scontro tra “civiltà e barbarie, libertà e schiavitù”.

(V. GOSSE, A Movement of Movements. The Definition and Periodization of the New Left,in J.C. AGNEW–R. ROSENZWEIG(eds), A Companion to Post-1945  America, Malden Mass., Blackwell, 2002, pp. 277-302. Si veda inoltre M. KAZIN –M.ISSERMAN, America Divided: The Civil War of the 1960s, Oxford, Oxford University Press, 2000).

Chi sosteneva un inasprimento delle relazioni con la Russia si scinse dal partito democratico per migrare verso i repubblicani, più vicini al loro pensiero.
Questo gruppo di politici, unito con intellettuali, giornalisti, analisti e funzionari, si definirono tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘70 “neoconservatori”. I nuovi conservatori, il quale pensiero si ispirava al filosofo Leo Strauss, colui che vedeva nella libertà individuale il declino della società e del suo funzionamento, convinto che “la crisi dell’Occidente derivi dalla sua incertezza rispetto al suo scopo”.

Il pensiero neoconservatore nacque nelle università, si diffuse tra i suoi studenti e superò i confini accademici attraverso le riviste fondate dai suoi più illustri portavoce: Irving Kristol, che  come  pochi  altri  può  ambire  al  ruolo di Padre del neoconservatorismo statunitense, fondò il Public Interest proprio nel 1965 con l’iniziale obiettivo di  riaffermare  un  approccio  pragmatico,  empirico  e  liberale  in  contrapposizione all’utopismo ideologico (e intrinsecamente pericoloso) di cui sarebbe caduto vittima il Partito Democratico.
/neoconservatori
10189-Articolo-33838-3-10-20191223 (2).pdf

Intellettuali e giornalisti affascinarono con la loro visione degli Stati Uniti e del loro ruolo nel mondo uomini della politica e dell’amministrazione, che cercarono di riportare nel concreto le loro teorie, soprattutto nel campo della politica estera.

Servì qualche anno per vedere i membri neoconservatori scalare le vette dei governi statunitensi, fino a riuscire a ricoprire i più alti ruoli decisionali (vice presidente, ministro e viceministro della difesa, giusto per citarne alcuni) e vedere esaudire il loro sogno neoconservatore.

Il nostro viaggio temporale, e la loro scalata, inizia negli anni ’70.

Questa non chiamatela democrazia

Normalità


Sono nata nel 1994, qualche mese prima dell’esordio di Berlusconi in politica, numero di tessera 1816. Nata nella zona del mondo che consideriamo democratica.

Infanzia felice, cresciuta nella casa di proprietà dei miei genitori in una provincia romana dove il degrado era visibile solo agli occhi degli adulti.
Mai sentito fame, mai assistito ad episodi di violenza. A scuola avevo i miei amichetti e potevo andarci tutto l’anno, dal lunedì al venerdì.
Un’infanzia vissuta nell’amore di una famiglia del ceto medio.

La prima volta che ho visto degli adulti spaventati è stato nel settembre del secondo anno del ventunesimo secolo. Li avevo visti sempre riunirsi davanti alla televisione ma mai circondarla in piedi con quello sguardo che ancora non riuscivo ad interpretare. E quando ho cercato di attirare l’attenzione mettendo uno a fianco all’altro i miei due fratellini ed io a braccia aperte ad interpretare quello che stavamo guardando tutti in tv, per la prima volta ho visto sul viso di mia madre un’espressione che ancora non conoscevo: la paura. “Adesso no Irene, è successo qualcosa di molto grave”.

È uno dei primi ricordi che ho, come quello della metro B di Roma e quel signore con quel copricapo strano in testa e la pelle più scura della mia che tanto mi fece paura, e tanto mi lasciò interdetta anni dopo, quando mi accorsi che quel signore era un indiano sikh e che le uniche cose che aveva in comune con quella tragedia era il colore della pelle dei presunti terroristi.
Poco prima di quell’evento catalizzante ne avvenne un altro ma non ne ricordo nulla. Il massacro fisico e psicologico della popolazione civile che si era riunita a Genova per esercitare il proprio diritto al dissenso, contro chi continuava a prendere decisioni le cui conseguenze non ricadevano mai su chi, blindato e protetto, le aveva prese, ma su chi protestando veniva chiamato dalle autorità:

“Zecca, figlio di puttana, bombaroli di merda, bastardi.
Vi ammazzeremo tutti.
Bastardi comunisti è ora che impariate.
Viva il Duce, viva la polizia penitenziaria. Sei un gay o un comunista?
Senti che schifo questi froci come puzzano.
Vai pure a morire in cella.
“Chi è lo Stato?” “La polizia” “Chi è il capo?” “Mussolini”
Orina finocchio.
Che bel culo. Ti piace il manganello.
Questa è mia, questa me la porto via io, ci penso io.
Troie, dovete fare pompini a tutti. Vi facciamo il culo.
Vi portiamo fuori nel furgone e vi stupriamo.
Non uscirete da qui, bastardi comunisti.
Siete delle merde e dei parassiti.
Uno di meno, siete uno di meno.
Nessuno sa che voi siete qui. Possiamo fare di voi quello che vogliamo.
La notte è lunga e questo è solo l’inizio.”
https://www.uonna.it/g8-cronache-dal-mattatoio-di-bolzaneto.htm

“Uno a zero per noi”.
Avevo 7 anni.

L’anno dopo iniziavo ad ascoltare in modo diverso quei discorsi in tv ma ancora non riuscivo a capire tutte quelle parole dette da quegli adulti in giacca e cravatta, e da altri vestiti come le persone che vedevo tutti i giorni nella mia città.
Ero ancora troppo piccola. Per me il G8 erano le persone in piazza.

A 8 anni sapevo ormai leggere bene. La prima parola che ho scoperto finire con una consonante è stata “Iraq”. Quelle sono state anche le prime bombe che vidi in tv, in lontananza, scarne e senza significato perché agli occhi di una bambina nata in un paese democratico quelle bombe sembravano fuochi d’artificio, e i fuochi d’artificio agli occhi di una bambina scappata da quei luoghi sembrano bombe, nascosta sotto un tavolo per paura di essere di nuovo in pericolo.

A 12 anni facendo zapping in televisione mi sono imbattuta nell’impiccagione del dittatore di quel paese con la consonante come ultima lettera.

A 13 anni ho iniziato a vedere i miei parenti litigare durante le feste comandate tra chi credeva alle parole di Berlusconi e chi invece era convinto che una crisi economica mondiale era imminente. Arrivarono in tv termini economici che neanche gli adulti capivano, mai sentiti in tutta la loro vita.
Sembrava che, per una serie di sfortunati eventi, miliardi di dollari e quindi euro, erano andati in fumo e in nome della stabilità economica le condizioni lavorative, e le casse dello Stato dovevano subire un ridimensionamento, ma anche qui non sapevo cosa significasse.


Il governo Berlusconi crollò a causa di uno scandalo sessuale. A quanto pare più grave di tutti quelli di cui avevo sentito parlare durante i suoi tanti anni di governo.
Sentii per la prima volta la definizione “governo tecnico”. I telegiornali e i svariati programmi tv iniziarono a ripetere e sottolineare la necessità di sacrifici della popolazione civile per poter bloccare la crisi economica. Diritti sul lavoro in cambio di stabilità economica. A quanto pare non c’era cosa più importante.

A 17 anni sono emigrata con mia madre e i miei fratelli prima in Svizzera, poi in Germania con uno dei miei fratelli, nella città dove mia madre è nata da figlia di immigrati italiani degli anni ’60. Lì ho conosciuto ragazzini e ragazzi afgani, africani e arabi che mi hanno raccontato la loro storia migratoria.
La “questione migratoria”, fatta diventare crisi perché le istituzioni europee non hanno voluto prendersi la responsabilità di quelle persone arrivate sulle “nostre” coste, scappati non per sfortuna, ma per scelte politiche ed economiche fallimentari. Scelte politiche ed economiche contestate nelle piazze di Genova da più di 300.000 civili da tutto il mondo circa un decennio prima di quegli sbarchi.

Si dice che i loro governi, a differenza dei nostri, non sono democratici, infatti è da quando sono bambina che sento usare questa motivazione per far scoppiare guerre in quei paesi, per riempirli di prestiti con alti interessi e vestiti di cui noi non abbiamo più bisogno.

A 25 anni ho vissuto una pandemia e, visto che non abbiamo sfruttato l’occasione dell’arrivo dei migranti per mettere in dubbio politiche di sfruttamento e guerra, la ruota della guerra si è fermata in Europa. Ancora guerre di confine.

In quasi 30 anni di vita ho vissuto svariate crisi, ma la mia vita da cittadina dell’Unione Europea, a parte il potere d’acquisto, non ne ha risentito poi così tanto.
È vero che hanno frodato l’economia, represso il dissenso e sparato ai migranti che cercavano riparo, ma non riusciamo a negare di vivere in un paese democratico.
C’è però una cosa che dobbiamo capire innanzitutto: qual è la differenza tra una dittatura e una democrazia?

Dalla campagna alla guerra, dalla guerra alla campagna


“Sono stufo, mia carissima e preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l’impossibile: morti a destra e sinistra, morti dietro e ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che ormai ha perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare.
Basta, basta, basta! Non ne posso più, ho il cuore freddo come una pietra e le lacrime calde che parlano da sole: ho ucciso. Non credevo che sarei mai stato capace di spezzare la vita di un uomo così velocemente, senza permettere di dare ad entrambi un senso dell’orrore della guerra.
Chi non prova a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo e detta solo leggi dalla propria scrivania, dicendo di combattere sempre comunque, non sa che cosa noi abbiamo visto, udito, provato, e non potrà mai, dico mai, rendersene conto.
Solamente ora ahimè capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo sulle gambe, il respiro dell’ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che gravano sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura.
Un saluto e un abbraccio 
Alessandro”
https://www.3icgiarre.edu.it/old/soldati-italiani-prima-guerra-mondiale

L’uomo deve essere forte. Non deve vacillare mai, tanto meno mostrarlo. L’uomo deve proteggere sua moglie, i suoi figli e la patria.
È aggressivo di natura ma la ragione vince sempre sulle emozioni, a differenza delle donne. Lui è nato per lavorare e combattere. Lui deve sacrificarsi.
Per secoli questa è stata la narrazione costruita intorno all’identità degli uomini attraverso religioni, filosofie, rappresentazioni e simili, con conseguente stigma sociale se non si seguiva il modello su di lui costruito. Tutte caratteristiche molto comode alle autorità politiche, religiose ed economiche per rendere l’uomo macchina da produzione e da guerra, tutti compiti nella quale l’empatia e le emozioni non potevano che essere un ostacolo.

Quando l’autorità chiama l’uomo deve svuotarsi della propria morale, dei propri principi umani per seguire gli interessi dello Stato e diventare uno strumento di distruzione, come nel 1914, nella prima guerra mondiale e moderna fatta di trincee e di nuove armi automatiche capaci di distruggere in poco tempo città e plotoni.
Da quella guerra alcuni imperi perirono, l’Austro-ungarico e l’Ottomano. Altri ebbero la spinta per nascere come gli Stati Uniti e il Giappone. Se invece eri un lavoratore dipendente, che il tuo Paese abbia vinto o perso, ti ritroverai a vivere in uno Stato in profonda crisi, perché la guerra la vince sempre lo Stato, mai chi lo abita.

L'11 novembre 1918, i firmatari tedeschi, britannici e francesi dell'armistizio che pose fine alla Prima guerra mondiale https://oglobo.globo.com/mundo/de-1918-2018-fim-da-primeira-guerra-mundial-completa-100-anos-23223474#ixzz8hUgbxdQw
L’11 novembre 1918, i firmatari tedeschi, britannici e francesi dell’armistizio che pose fine alla Prima guerra mondiale https://oglobo.globo.com/mundo/de-1918-2018-fim-da-primeira-guerra-mundial-completa-100-anos-23223474#ixzz8hUgbxdQw
Fucilazione per insubordinazione

Nessuno tornava dal fronte com’era prima”

“Non potevamo immaginare quali effetti avrebbe avuto sulle nostre vite quell’esperienza, ma sapevamo che come minimo sarebbe stato impossibile sopravviverle senza subire qualche mutamento interiore. Ed ora marciavamo verso questa trasformazione della nostra personalità»
Ernest Parker, soldato inglese miracolosamente sopravvissuto mentre il suo battaglione fu interamente distrutto il 16 settembre 1916.



1919
Per chi non era perito in guerra e a chi la guerra non aveva lasciato uno squarcio nell’animo – gli scemi di guerra li chiamavano – quell’animo ormai traumatizzato costretto a strappare via con straziante violenza la vita di un altro uomo per non vedersi strappare via la propria, in una realtà dove o uccidi o l’autorità ti uccide, per chi era sopravvissuto a tutto questo, la vita doveva tornare quella di sempre. Come quella di quattro anni prima, quando non avevi bisogno di uccidere per vivere ma di lavorare la terra o di produrre in fabbrica. Peccato che la guerra, vinta o persa che sia, aveva fatto sprofondare gli Stati europei in una grave crisi economica. Debito pubblico alle stelle come l’inflazione, la necessità di riconvertire le fabbriche da belliche a civili e tanti soldati tornati dal fronte disoccupati e senza alcun tipo di reinserimento. Non esistono guerre senza debiti e crisi.
Le risorse dello Stato non erano abbastanza e i proprietari dei mezzi di produzione non erano disposti a dividere i compensi del lavoro. Questo voleva dire che dopo il campo di battaglia, dovevano continuare ad esser sfruttati in fabbrica e nei campi.
Iniziarono le proteste e i borghesi ad avere paura.

“Ricordiamo cos’è l’Italia del primo dopoguerra. L’Italia del ’19, ’20, ’21, un paese che in teoria ha vinto la guerra, ma solo in teoria perché in realtà non c’è più un soldo. La morale comune vede l’epoca come una in profonda crisi. Abbiamo vinto ma non ci hanno dato nemmeno quello che ci hanno chiesto. Fiume, la Dalmazia e le condizioni di vita sono misere. Milioni di uomini sono tornati a casa e adesso sono disoccupati. E gli operai parlano di fare come in Russia. 
In quel momento davvero non si sa come andrà a finire. In quel momento davvero, tanti, gli industriali, gli imprenditori, la borghesia hanno paura che arrivi un Lenin e scoppi la rivoluzione. E fin dall’inizio sono decisi ad impedirlo.”
https://www.youtube.com/results?search_query=barbero+fasci+di+combattimento


“Numerosi imprenditori e soprattutto numerosi agrari si rivolgono a formazioni politiche che dispongono di forze paramilitari e tra queste vi è il Movimento dei fasci di combattimento.
Si tratta di un gruppo politico fondato nel 1919 a Milano da Benito Mussolini. Ex esponente di spicco del Psi, ex direttore dell’Avanti, nel 1914 è stato espulso dal partito per le sue posizioni interventiste, che ha continuato ad esporre sul Popolo d’Italia, il nuovo giornale da egli stesso fondato con i finanziamenti di grandi industriali, come Giovanni Agnelli, padrone della Fiat di Torino.
Mussolini, per guadagnare l’appoggio degli imprenditori, comincia ad accentuare l’antisocialismo e l’antibolscevismo. Ottiene così altri finanziamenti che gli consentono di far nascere e diffondere le squadre d’azione fasciste, gruppi agguerriti, che iniziano una lunga e sanguinosa stagione di azioni a sorpresa, aggressioni e scontri contro i socialisti, i sindacalisti, le loro sedi e i loro militanti.
https://www.tesionline.it/appunti/sociologia/l-et%C3%A0-contemporanea/706

“Con la complicità della forza pubblica, ben contenti che ci sia qualcuno che vada a bastonare i “rossi”. Non soltanto i carabinieri non intervenivano ma c’è una complicità attiva. De Vecchi (quadrumviro della marcia su Roma) testimonia che di notte le strade di Torino erano pattugliate da squadristi e agenti di polizia insieme, e che le azioni squadristiche, le decisioni sul dove e quando attaccare erano direttamente coordinate dal questore e dal commissario di polizia.”

Ottobre ‘22, marcia su Roma: il fascismo prende il potere.

https://youtu.be/TFzoP0m_gmA?si=lhUKO6-U8dHC6KmG

1945


L’ennesima guerra era finita, milioni di uomini erano stati di nuovo costretti ad uccidere e mutilare altri milioni di uomini. I paesi europei erano ancora una volta pieni di debiti e macerie e, come tutte le guerre, anche questa aveva definitivamente delineato i poteri mondiali che oggi vediamo vacillare.

Due super potenze spiccarono dalle ceneri della seconda guerra mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. Superpotenze perché grazie al loro sviluppo tecnologico, armamenti e potenziale economico ebbero una particolare influenza in campo internazionale e un forte peso sugli eventi mondiali. Infatti, neanche il tempo di digerire la seconda grande guerra che ne fecero scoppiare un’altra su scala mondiale, durata circa 45 anni. Fredda questa volta, perché i due protagonisti non si scontrarono mai direttamente, ma usarono la cartina geografica come tavolo da Risiko e i loro “alleati” come pedine per diffondere la loro influenza.

Questa fu una guerra tra ideologie, tra modelli economici e politici, nel quale il blocco sovietico era caratterizzato da principi quali il comunismo, la pianificazione economica, l’abolizione della proprietà privata e il potere nelle mani di un unico partito, mentre il blocco statunitense dichiarava di credere nella democrazia, nel libero mercato, nelle libertà politiche e civili.
Questo era il blocco nella quale l’Italia era schierata.

That’s amore


Pagina 73 http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Bollet/40000_04.pdf
https://www.youtube.com/watch?v=ILptkfgMMwI&t=653s

1943. In Sicilia sbarcarono gli americani. Servivano appoggi sul territorio per continuare l’avanzata contro i fascisti ma i partigiani non gli bastavano: l’ufficio dei servizi strategici statunitense segnalava che i leader del partito separatista, tra le tante categorie, provenivano anche dai capi massimi e intermedi della mafia.
Il governo di occupazione, tenendo fede alle promesse, si affrettò a consegnare l’amministrazione dell’isola ai militanti del separatismo, mettendoli così in condizione di esercitare sui cittadini un potere reale e un’influenza spesso decisiva. Nacque così la terza legittimazione per la mafia, quella che derivò dalla collocazione ai vertici delle amministrazioni comunali di politici separatisti sostenuti dalla mafia e, in alcuni casi, di autentici mafiosi, come Calogero Vizzini, nominato sindaco di Villa Alba e Genco Russo, sindaco di Mussomeli. Inoltre, vennero conferiti altri incarichi pubblici: Vincenzo Di Carlo, capo della mafia di Raffadali, fu nominato responsabile dell’Ufficio per la requisizione del grano e altri cereali. Michele Navarra, un altro affiliato, fu autorizzato a raccogliere automezzi militari abbandonati dall’esercito. Il boss della mafia italo-americana, Vito Genovese, prestava invece servizio presso il quartier generale degli alleati.
Secondo gli statunitensi non esisteva un’organizzazione più antifascista della mafia. Finita quella guerra, per loro, non sarebbe esistita organizzazione più anticomunista dei fascisti, perché in Italia una Norimberga non c’è mai stata.
Nuova guerra, nuove convenienze, nuovi alleati.

Nel 1948 si tennero le prime cruciali elezioni italiane post dittatura. Tra gli attori principali della politica italiana dell’epoca, a sinistra c’era la coalizione tra socialisti e comunisti, il Fronte Democratico Popolare, a destra i conservatori del Blocco Nazionale di Einaudi, i monarchici, i nostalgici del fascismo riuniti sotto il Movimento Sociale Italiano di Almirante. Al centro, invece, la Democrazia Cristiana. È qui che la guerra fredda ha iniziato a lasciare le sue prime impronte rivelate qualche decennio dopo da alcuni documenti desecretati della CIA. L’obiettivo era quello di frenare le sinistre italiane a favore della Democrazia Cristiana. – memorandum della CIA al Comitato dei Quaranta (Consiglio di Sicurezza Nazionale), presentato al Comitato ristretto sull’intelligence della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (il Comitato Pike) durante le audizioni a porte chiuse tenutesi nel 1975. La maggior parte del rapporto della commissione che conteneva il memorandum fu divulgata alla stampa nel febbraio 1976 e apparve per la prima volta in forma di libro con il titolo CIA -The Pike Report (Nottingham, Inghilterra, 1977). Il memorandum appare alle pp. 204-5 di questo libro. –

La CIA ordinò all’agente segreto Mark Wyatt di dirigere l’operazione: “Ero profondamente preoccupato e mi ha fatto piacere sentire George Kennan (un diplomatico ndr.) dire <<Queste elezioni si avvicinano e se i comunisti riusciranno a formare un governo, se vinceranno, la nostra intera posizione nel Mediterraneo, e probabilmente in Europa, sarà minata>> E sono stato felice di vedere che si è prestata attenzione a questo tema”
https://web.archive.org/web/20010831150516/http:/www.cnn.com/SPECIALS/cold.war/episodes/03/interviews/wyatt/

“Avevamo sacchi di denaro che consegnavamo a politici selezionati, per coprire le loro spese politiche, le loro spese per la campagna elettorale, per manifesti, per opuscoli”.
https://www.nytimes.com/2006/07/06/us/06wyatt.html

La CIA pubblicò anche lettere false per screditare i capi del Partito Comunista Italiano ed iniziò la campagna “Letter to Italy” che consisteva nel pagare gli immigrati italiani sul suolo statunitense per spedire lettere ai propri parenti rimasti in Italia. Dieci milioni di lettere furono spedite per esortare i propri cari a votare DC e avvertirli che sostenere la sinistra corrisponderebbe a una maledizione di Dio.
https://thevision.com/cultura/cia-elezioni-1948/
https://scholarlypublishingcollective.org/uip/chr/article-abstract/60/1/63/283547/The-1948-Letters-to-Italy-Campaign-International?redirectedFrom=fulltext

In caso di vittoria dei comunisti alle elezioni, la CIA prevedeva di impedire loro l’accesso al potere tramite la falsificazione dei risultati elettorali o con la forza.
https://web.archive.org/web/20190221112044/https://www.cia.gov/library/readingroom/document/cia-rdp78-01617a003100010001-5

“Il nostro referente ovviamente era Alcide De Gasperi. Mi ha detto che non dovevamo sostenere solo il suo partito, un partito clericale vicino al Vaticano, ma anche i socialdemocratici, i repubblicani e il partito liberale” Mark Wyatt
https://thevision.com/cultura/cia-elezioni-1948/

Non si parlava più di ricostruire l’Italia o dei temi ricorrenti d’interesse nazionale ma il dibattito si era ridotto alla lotta “del bene contro il male”, “per la democrazia e la libertà contro la dittatura e l’oppressione”, mentre i preti rombavano: “C’è un uomo, qui in Italia, che si erge a campione degli interessi nazionali, ma è un cittadino russo. Si è schierato con la Russia dei senza Dio. Costui si chiama Togliatti. Va’ fuori dall’Italia, straniero!” o ancora: “Con Cristo o contro Cristo!”


La democrazia cristiana vinse con il 48,5% dei voti e conquistò la maggioranza assoluta in parlamento a livello di seggi e la maggioranza relativa dei voti, caso unico della storia della Repubblica. Il Fronte Democratico Popolare ottenne il 31%.
Dopo quelle elezioni la DC fu protagonista indiscussa (o quasi) dell’intera prima repubblica.


Mark Wyatt, l’agente segreto che si era dedicato clandestinamente alla campagna elettorale della DC del ‘48, nel documentario “L’Orchestre Noir” di Fabrizio Calvi e Frédéric Laurent dichiara:

“Ero stato assegnato come vice capo stazione a Roma. Ero responsabile di tutti i collegamenti con i servizi italiani e il SIFAR (Servizio informazioni forze armate) all’epoca gestiva l’intera operazione Gladio. La base era in Sardegna e all’interno di Gladio avevano accettato i nostri uomini come loro aiutanti per lavorare e vivere con loro.
Pochissimi ufficiali dell’intelligence americana assegnati a Roma sapevano che c’era un’operazione stay behind suggerita dagli americani ed accettata dagli italiani.
Non solo in Italia ma, come ho già detto, anche negli altri paesi erano estremamente timorosi a riguardo, non ne potevano nemmeno parlare.
L’uomo chiave era il capo del SIFAR ma anche i Carabinieri perché la maggior parte degli adepti di Gladio erano carabinieri o ex carabinieri che potevano affrontare un’operazione di tipo stay behind.”

Mark Wyatt era il numero due della CIA a Roma, era lui che controllava i “gladiatori” e li riforniva di armi, soldi e d’istruzioni.

Luigi Tagliamonte, capo dell’ufficio amministrazione del SIFAR e, successivamente, capo dell’ufficio programmazione e bilancio del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, durante una delle varie inchieste relativa ad una base di addestramento di Gladio dichiarò:
“Sapevo che presso il Cag (il Centro addestramento guastatori di Punta Poglina vicino a Capo Marrargiu, Alghero) si effettuavano dei corsi di addestramento alla guerriglia, al sabotaggio, all’uso degli esplosivi al fine di impiegare le persone addestrate in caso di sovvertimenti di piazza, in caso che il PCI avesse preso il potere”.
Non a caso, l’unico esponente della DC che cercò di formare un governo con il PCI, Aldo Moro, per il bene della stabilità del governo, non fece una bella fine. Qualche anno prima, ai margini di un summit internazionale negli Stati Uniti, siamo nel 1974, Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, in un incontro con Aldo Moro, all’epoca Ministro degli Esteri, avrebbe pronunciato la seguente frase: “Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Dopo 55 di prigionia il cadavere di Moro fu ritrovato dentro un portabagagli.
https://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/237-vedi/89502-delitto-moro-quel-potere-occulto-che-voleva-fermare-il-cambiamento-in-italia.html

La presenza di una struttura stay-behind in Italia risale al 1949, seppure con un nome diverso da Gladio. In una relazione del Comitato Parlamentare sui servizi segreti del 1995 si legge che:
“In base a quanto risulta dalle indagini giudiziarie è fuori dubbio che in epoca precedente alla creazione di Gladio sia esistita un’altra organizzazione denominata “Duca”, con le stesse finalità e struttura analoga, di cui sappiamo ben poco e che dovrebbe essere stata sciolta intorno al gennaio 1995 (ma in vari documenti acquisiti dall’Autorità giudiziaria si parla di organizzazione “Duca – Gladio”)”.
Gladio viene costituita con un protocollo d’intesa tra il Servizio italiano e quello statunitense in data 26 novembre 1956, nel quale però vi era stato un esplicito riferimento ad accordi preesistenti: nella relazione inviata dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi il 17 ottobre 1990 verrà segnalato che con quella intesa tra SIFAR (al cui comando, al tempo della stesura del protocollo, era da poco stato posto Giovanni De Lorenzo) e CIA erano stati confermati tutti i precedenti impegni intervenuti nella materia tra Italia e Stati Uniti.
http://www.lalottacontinua.it/24-ottobre-1990-andreotti-ammette-lesistenza-di-gladio-3/

“Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà… Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.”
Aldo Moro, 28.2.1978, ultimo discorso ai gruppi parlamentari.

https://www.youtube.com/watch?v=7fFW3tsT-oo

Minimo 962 nomi


“In una mattina di quarant’anni fa esatti, 17 marzo 1981, a Castiglion Fibocchi, comune in provincia di Arezzo, negli uffici dell’allora sessantaduenne Licio Gelli, imprenditore con un passato da ex volontario franchista nella guerra di Spagna e quindi repubblichino di Salò, uomo legato all’Internazionale nera e ai regimi militari sudamericani, vengono scoperti dalla magistratura di Milano gli elenchi della loggia massonica segreta P2. Si tratta di 962 nomi che disegnano la geografia di un potere occulto incistato nel cuore delle istituzioni. Un network di potere che ha come suo programma quello di torcere, fino a modificarne forma e sostanza, l’architettura repubblicana figlia della Costituzione del 1948 e che tiene insieme uomini di vertice degli apparati di sicurezza, della classe politica, dell’establishment finanziario e dell’informazione, della magistratura e dell’avvocatura.

È lo scandalo più grave della storia della Repubblica, destinato a segnarne il corso. Non fosse altro perché a quelle della loggia P2 s’intrecciano, in quel decisivo passaggio della storia del nostro Paese, mille vicende oscure: dalla stagione delle stragi (nel 2020, Gelli verrà indicato come uno dei mandanti dell’eccidio di quella di Bologna) al sequestro e omicidio di Aldo Moro.
Licio Gelli, dopo periodi di detenzione in Svizzera e in Francia, ha continuato per oltre trent’anni a vivere a Villa Wanda, la sua residenza in provincia di Arezzo, dove si è spento il 15 dicembre del 2015. La sua storia e quella della P2, dei suoi 962 iscritti, non hanno mai smesso di fare da quinta al contesto della cosiddetta prima e seconda Repubblica. Il sistema di relazioni e la rete di ricatti scoperti in quel marzo 1981 hanno continuato a pesare nella vita pubblica del Paese, consegnandoci un’eredità tossica.
[da “C’era una volta la P2” di Benedetta Tobagi, La Repubblica].

Lo stesso Licio Gelli spiega in un’intervista del 2008 in che cosa consisteva “Il Piano di rinascita democratica” della loggia massonica Propaganda 2 (P2): “Era un piano per ripristinare un po’ “d’ordine” e per cambiare certe questioni che non funzionano come la magistratura, perché il PM e il GIP dovrebbero arrivare da due concorsi diversi, dovrebbero odiarsi tra loro se il cittadino vuole la giustizia.
Era un piano che prevedeva ordine, soprattutto ordine, e avrebbe cambiato anche il modo… della Repubblica parlamentare con Repubblica presidenziale perché oggi non c’è nessuno responsabile. Li vedo in televisione quando gli pongono dei quesiti all’attuale Presidente del senato e deve rispondere <<questa non è questione che riguarda me ma la Camera>>…No! Deve riguardare lui, lui è il capo di tutti e lui è il responsabile di tutti. Lui si deve assumere le sue responsabilità. […] Quello che chiedevamo noi era più disciplina”.

Tutti argomenti e proposte politiche che abbiamo ascoltato negli ultimi anni, anche se della P2 non si è mai sentito parlare. Guarda caso, il Presidente del Consiglio più longevo dopo Andreotti, che è riuscito a plasmare la mentalità italiana degli ultimi venti anni – proprietario di televisioni e mezzi di comunicazioni – è stato Silvio Berlusconi. Numero di tessera 1816, trovato nelle liste della P2 e insignito con cerimonia.

E nella stessa intervista Gelli continua: “Le stragi ci sono state e sempre ci saranno perché non c’è ordine. Nei primi tempi le stragi non ci sono state, sono venute dopo il ‘60. E perché parlo del ‘60? Perché c’era ancora una certa condizione, il popolo era appena uscito da una dittatura, il fascismo, chiamatela anche dittatura del fascismo, però aveva abituato la gente a lavorare. Dovevano andare a lavorare se no sarebbero stati puniti, non avrebbero nemmeno dovuto scioperare perché con lo sciopero non si produce, lo sciopero impoverisce perché la politica dei sindacati è quella di impoverire colui che paga lo stipendio oppure sabotare il lavoro […] si permetteva anche di occupare la fabbrica.”

https://youtu.be/lf6G3Nv2TAo?si=lSIOQObZyrdI0t0E

Tina Anselmi, presidente della commissione d’inchiesta sulla P2, la descrisse come una loggia a doppia piramide. Una era la base solida, quella degli iscritti alla P2 negli elenchi trovati a Castiglion Fibocchi. Licio Gelli, custode e notaio di quel sistema, occupa il vertice della piramide sottostante: “Questa prima piramide è sovrastata da una seconda piramide capovolta, che vede il suo vertice inferiore pure collocato sulla figura di Gelli. Egli è infatti il punto di collegamento tra le forze, i personaggi e i gruppi che, nella piramide superiore, stabiliscono e perseguono le finalità ultime e ne stabiliscono le strategie.
http://www.giannibarbacetto.it/2021/03/18/cosi-ho-scoperto-la-p2-club-segreto-del-potere-parallelo/
https://www.lastampa.it/politica/2015/12/17/news/ma-i-vertici-della-p2-sono-rimasti-nascosti-1.35200767/

Questo incarico costò a Tina Anselmi insulti e delegittimazione, nonché un crescente isolamento politico negli anni successivi, anche da parte del suo stesso partito (la DC) Marcella Filippa, Tina Anselmi : la donna della democrazia, 2019

Carlo Azeglio Ciampi, in un’intervista rilasciata dopo la fine del suo mandato (2006) da presidente della Repubblica, dichiarò: “In Italia non si è mai data sufficiente importanza a cosa è stata la P2. […] La stagione della P2 non è mai finita, ha continuato ad agire sotto traccia, continuando a inquinare le istituzioni italiane. Il fatto di non aver estirpato fino in fondo questo cancro è un grande cruccio.”
https://www.google .it/amp/s/

Chi vinse poi la guerra fredda lo sappiamo tutti. Ma sorge un dubbio.
Può essere questa definita democrazia?

Dal libro “Italia occulta” di Giuliano Turone, il magistrato che scoprì i fascicoli della P2 a Castiglion Fibocchi.

Bergamo, 2001


“Per me Genova è iniziata un lunedì sera in cui ero in giro con due amici e avevamo fatto delle scritte sui muri, siamo stati fermati da una volante, da un poliziotto che ha deciso di attaccarci e di iniziare a picchiare. Quando lui ha chiamato i rinforzi sono arrivate altre quattro volanti. Io vado incontro a questi agenti dicendo <<guardate che il vostro collega sta impazzendo, ci sta picchiando non ha senso questa cosa qua, non c’è nessun motivo>> e abbastanza naturalmente, molto rapidamente, vengo atterrato da una manganellata in testa, ammanettato e arrestato, io e gli altri due ragazzi. Non avevamo fatto nulla e lo posso dire perché anni dopo siamo stati assolti perché il fatto non sussiste.
Tutto scatta da una perquisizione che voleva fare il poliziotto. Noi chiediamo la presenza di un avvocato essendo un diritto costituzionale e a quel punto lui è scattato dicendo che dovevamo avere rispetto di quella divisa, che siamo delle merde.
Perché succede questa cosa qua a Bergamo, in pieno centro, davanti al Comune? Succede perché da mesi c’era una tensione altissima.”
https://www.youtube.com/live/FxcTC2wSMIo?si=1di9BJxasncGsojE

Democrazia assoluta


Negli anni ‘90 il modello economico e politico portato avanti dagli Stati Uniti era rimasto l’unico egemone nel mondo, intrinseco all’ipocrisia perchè da una parte pretendeva e pretende di essere l’esponente massimo ed unico dei diritti democratici, politici, civili e di concetti complessi (ma molto “funzionali”) come la libertà e la pace. Dall’altra pretendeva e pretende di basarsi su un’economia che necessita lo sfruttamento incontrollato di risorse naturali e umane visto che mette al centro il capitale e la libertà di mercato.
In un sistema economico dove gli interessi economici non coincidono con quelli delle persone, la libertà di uno è la gabbia dell’altro.

A livello istituzionale il neoliberismo, dopo la fine della guerra fredda, non aveva più rivali, tranne nella società civile:

“Per affrontare il nuovo potere dei vertici di stati e organizzazioni intergovernative, i movimenti sociali e le organizzazioni della società civile danno vita ai vertici paralleli che affrontano gli stessi problemi di quelli ufficiali con una prospettiva critica verso i governi e le politiche delle multinazionali, producono analisi e mobilitazione politica, formulano proposte alternative. Le prime iniziative di questo tipo si svolgono in scala ridotta, ma a partire dalla fine degli anni ’80 si assiste ad un importante cambiamento:

Settembre 1988, Berlino: esponenti di spicco della finanza e delle istituzioni economiche nazionali e internazionali si incontrano per il meeting del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) più importante dai tempi di Bretton Woods (1944). Il quadro è quello di un neoliberismo ormai affermato in molti contesti nazionali e delle nascenti tensioni sociali a livello globale provocate dalle politiche di indebitamento, liberalizzazione e privatizzazione sollecitate dal Fmi e dalla Bm. La risposta a queste tensioni è la nascita di una vasta coalizione di gruppi di attivisti e organizzazioni della società civile che sperimentano, a fianco di pratiche tradizionali, forme di azione innovative. Alle conferenze alternative e alle dimostrazioni di piazza partecipano 80.000 manifestanti. Questo è un momento di svolta; negli anni seguenti si moltiplicano gli appuntamenti e il movimento si allarga:

1990, New York: organizzazioni non governative del Sud e del Nord contestano il vertice di Bm e Fmi, avviando una cooperazione che caratterizzerà, con vari gradi d’intensità, i successivi controvertici.

1990, Bruxelles: migliaia di agricoltori europei, nordamericani, latinoamericani, africani e asiatici protestano contro le politiche agricole delle organizzazioni internazionali governative. Nella prima metà degli anni ’90 si sviluppano vertici paralleli in occasione degli incontri tematici organizzati dalle Nazioni Unite per tracciare l’agenda del XXI secolo su questioni di rilevanza globale.

Giugno 1992, Rio de Janeiro: il vertice parallelo al Summit della Terra si configura come un forum delle Ong senza precedenti per dimensioni, per risonanza mediatica e per l’emergere di una società civile globale capace di costruire reti e sviluppare strategie comuni.

Giugno 1993, Vienna: alla conferenza sui Diritti umani partecipano migliaia di attivisti.

Settembre 1994, Il Cairo: alla conferenza su popolazione e sviluppo si creano nuovi legami tra organismi di base.

Settembre 1994, Madrid: viene contestato il 50° anniversario di Bm e Fmi.

Marzo 1995, Copenaghen: al vertice delle Nazioni Unite sullo Sviluppo sociale, i forum delle Ong vengono integrati nel programma.

Settembre 1995, Pechino: lo stesso succede alla IV Conferenza mondiale delle donne, dove i documenti finali sono influenzati dalle elaborazioni delle Ong.

Giugno 1996, Lione: manifestazione contro il G7.

Settembre 1997, Hong Kong: controvertice durante gli incontri di Bm e Fmi.

Febbraio 1997, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.

Giugno 1997, Denver: manifestazione contro il G7.

Giugno 1997, Amsterdam: manifestazioni contro il vertice Ue.

Maggio 1998, Birmingham: manifestazione contro il G8.

Giugno 1999, Colonia: manifestazione contro il G8.

Novembre-dicembre 1999, Seattle: la contestazione del vertice Wto ne impedisce la realizzazione.

Gennaio 2000, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.

Aprile 2000, Washington: controvertice in occasione dell’incontro di Bm e Fmi.

Giugno 2000, Ginevra: controvertice in occasione dell’incontro dell’Onu sulla povertà.

Settembre 2000, Praga: controvertice in occasione del nuovo incontro di Bm e Fmi.

Dicembre 2000, Nizza: controvertice in occasione della riunione del Consiglio europeo.

Febbraio 2001, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.

Questa pluralità di movimenti inizia ad avere risultati, riesce a far sospendere le riunioni delle grandi organizzazioni internazionali e a far sentire la propria voce.
Come dovrebbe esser sottinteso in una realtà democratica, questi movimenti chiedevano rappresentanza. Chiedevano che chi scriveva le regole prendesse in considerazione le ragioni di chi subiva le loro decisioni.
I vertici della politica e dell’economia, tuttavia, continuavano ad avere altri obiettivi. Le azioni delle autorità diviene sempre più violenta. Alle manifestazioni a Göteborg, durante il vertice del Consiglio europeo nel giugno del 2001, un ragazzo di 19 anni resta gravemente ferito dai colpi di pistola di un poliziotto. Il timore di analoghi scontri induce la Banca mondiale ad annullare la riunione prevista a Barcellona dal 25 al 27 giugno.

Napoli, 17 Marzo 2001. Contestazione contro il Global Forum sull’e-government

Il Global Forum, sotto la guida dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) si riunì a Napoli per discutere della diffusione di internet nei paesi sottosviluppati. Un incontro finanziato dalle multinazionali dell’I-Tech. In 30.000 arrivarono per protestare contro le loro decisioni.
A dimostrazione di quanto gli esponenti della politica e dell’economia fossero interessati alle istanze della società civile, in occasione dei vertici internazionali si usava costruire una zona rossa nella quale politici ed esponenti delle multinazionali si rinchiudevano per prendere decisioni su milioni, se non miliardi, di persone senza alcun consenso popolare.
Per rivendicare il diritto di manifestare fin sotto i palazzi del potere era ampiamente praticata la violazione della zona rossa visto che si manifesta con lo scopo far sentire la propria voce.

Al governo c’era il centro-sinistra. Il Presidente del Consiglio era Giuliano Amato, succeduto a Massimo D’Alema che si era dimesso dopo aver perso le regionali del 2000. Prima di D’Alema aveva governato Romano Prodi, caduto nell’ottobre ’98.
L’allora Ministro dell’Interno era Enzo Bianco che si complimentò con la polizia dopo i fatti di Napoli.

“Ho pensato che il modo migliore di raccontare quanto accaduto fosse riportare le testimonianze di chi era presente, estrapolate dal libro bianco edito da Derive Approdi.
Dai dati raccolti emerge un quadro sistemico e con esso l’intenzione dei vertici della Questura di dare una risposta “memorabile” alla più grande manifestazione auto-organizzata che Napoli abbia vissuto da circa vent’anni a questa parte.
La sensazione che emerge, da un’attenta lettura di queste pagine, è quella di una repressione tanto più feroce in quanto non indirizzata verso singole persone o limitata ad atteggiamenti eccessivi di singoli “Tutori dell’ordine pubblico”.
Emerge chiaramente la volontà dei corpi armati dello Stato italiano di trasformare Piazza Municipio in una gabbia da cui fosse impossibile uscire. Le descrizioni rilasciate evidenziano l’accuratezza con cui il coordinamento delle “Forze dell’ordine” ha evitato di lasciare una qualsivoglia via di fuga per coloro che erano stati rinchiusi nella “Gabbia” Municipio.

Dalle dichiarazioni emerge come le “Forze dell’ordine” abbiano caricato i manifestanti da ogni punto della “Gabbia” Municipio: da via Leoncavallo, da via Verdi, da via Medina, da via De Pretis, dalle strade che portano verso il molo Beverello.
Viene più volte evidenziato come gruppi di manifestanti siano stati spinti verso punti insicuri della “Gabbia”, a ridosso del fossato del Maschio Angioino, ad esempio, ammassati e “protetti” da una ringhiera troppo instabile e troppo bassa per fare da argine verso il vuoto.
E’ stata riscontrata la fermezza delle “Forze dell’ordine” nell’impedire agli operatori sanitari del 118 di svolgere il loro lavoro di pronto intervento e di trasporto di persone, gravemente ferite, verso gli ospedali.
Ma le testimonianze vanno anche molto oltre quello che è accaduto nella “Gabbia” allestita temporaneamente in occasione della repressione di una grande manifestazione democratica.
Si evince la crudeltà di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza all’interno degli ospedali e le pressioni portate nei confronti del personale medico e paramedico al fine di rendere meno tempestive le cure ai feriti. Vengono rese pubbliche le violenze fisiche e psicologiche subite dai fermati all’interno dei drappelli di polizia allestiti negli ospedali, delle caserme e dei commissariati.”
http://www.reti-invisibili.net/napoli17marzo01/

“Le forze dell’ordine non si accontentarono di caricare i manifestanti al corteo, dato l altro numero di feriti molti compagni vennero portati in un ospedale del centro storico (Ospedale dei pellegrini) e anche lì fuori proseguirono le brutalità della polizia che voleva entrare all’interno dell’ospedale per poter arrestare i manifestanti e portarli in caserma. Medici e infermieri impedirono l’ingresso delle forze dell’ordine nell’ospedale, una cosa che vidi anche a Genova mesi dopo. Ma in qualche modo alcuni manifestanti vennero condotti all’interno della caserma Raniero della polizia di Stato e Pastrengo dei Carabinieri. I manifestanti posti in fermo, ancora feriti dalle manganellate, con volti tumefatti e ferite aperte, in stato confusionale, in stato di agitazione, all’interno di queste caserme subirono ulteriori pestaggi e violenze. Le donne si cercò anche di stuprarle, raccontato dalle compagne durante il processo istituito contro le forze dell’ordine per quei fatti. Ci sono racconti dove le autorità si divertivano a far fare ai manifestanti delle flessioni nei bagni, altri che raccontano di essere stati costretti a cantare “faccetta nera” o altri inni fascisti e altri che subirono umiliazioni e maltrattamenti. Questo senza poter contattare né i propri familiari, né gli avvocati.”

Queste le principali accuse: sequestro di persona, abuso di atti di ufficio, violenza privata, danneggiamenti, lesioni personali aggravate e perquisizione arbitraria. Nessuno fu condannato.

https://www.youtube.com/watch?v=ALBh8e2NDcQ&t=1497s

Se fosse stato per i media mainstream


Le manifestazioni di Genova del luglio 2001 rappresentarono l’inizio del “citizen journalism“, la creazione di notizie da parte dei cittadini, che entrò di prepotenza nelle redazioni istituzionalizzate, nei grandi computer dei deskisti dei maggiori quotidiani italiani, portando testimonianza senza filtri della repressione violenta delle autorità contro chi stava dimostrando il proprio dissenso.
Perché allora tanti dimostranti, quando tornarono a casa dalle manifestazioni e raccontarono ad amici e parenti della violenza della polizia, fecero fatica a farsi credere?
Perché ci fu un processo di delegittimazione dei movimenti che proponevano un’alternativa a questo sistema economico. Processo di delegittimazione da parte della politica, delle autorità, dei media e degli attori economici, per questo gran parte delle persone che rimase a casa a guardare i movimenti combattere anche per loro, credette alla versione delle autorità. 
Nelle ore e nei giorni immediatamente seguenti all’omicidio di Carlo Giuliani e all’irruzione nella Diaz, tv e giornali erano concentrati sulla spettacolarizzazione degli scontri, bonari con i Grandi e inchiodati su un equilibrio che li obbligava a stigmatizzare sempre e comunque le “carenze di un movimento”.
Un tipo di narrazione che non spiega mai cosa succede realmente e in cui domina la condanna «della violenza, da qualunque parte provenga», dimenticando che una delle due parti in causa è lo Stato.
https://vdnews.tv/article/come-g8-genova-cambiato-per-sempre-media-forze-ordine-manifestanti


I primissimi a fare disinformazione furono i servizi segreti. La Repubblica definiva le veline del Sisde “la soglia più alta di brivido”, aggiungendo che chi aveva letto l’informativa s’era messo le mani nei capelli. Uno dei più autorevoli richiami al senso della realtà veniva – curiosamente – dal Vice Capo Vicario della Ps, Ansoino Andreassi, secondo cui l’eccesso di enfasi rischiava di avere “solo effetti negativi, sia sul nostro personale che sui malintenzionati”.
La minaccia che gravava sul G8 era impressionante: un centinaio di fionde per lanciare biglie di vetro e bulloni (Tute bianche), tubi di ferro come rampa per fumogeni e bombe carta (autonomi), pitbull da aizzare contro gli agenti (squatters e punkabbestia), clonazioni di siti web per diramare «notizie modificate» (Freaknet di Catania), buste con sangue di maiale infetto (contestatori in arrivo dalla Germania), attacchi vari con alianti, parapendii, piccole imbarcazioni e kayak e infine l’invio simultaneo di sms con istruzioni ai manifestanti.
A cose fatte, il comandante dei reparti militari schierati a Genova, ammiraglio Bettini, disse che i suoi uomini avevano protetto il G8 da aeroplanini radiocomandati, deltaplani e guerriglieri subacquei. Magari l’ammiraglio avrà creduto a tali minacce perché le aveva lette in un dossier, ma i comuni mortali erano piuttosto scettici su quelle fantasiose mascalzonate»
https://www.limesonline.com/rivista/limoni-e-sangue-a-che-servivano-gli-scontri-di-genova-14577966/

In poche parole, con questi dossier, i manifestanti diventano dei facinorosi in cerca dello scontro fine a sé stesso, persone dalla natura violenta e pericolosa mentre le autorità dovevano prepararsi a ogni evenienza . Non a caso, Gianfranco Fini – di tradizione fascista, Vice presidente del consiglio dei ministri dell’allora governo Berlusconi, ex tessera 1816- per tutto il G8 si aggira nelle caserme, assicurando il totale appoggio del governo a interventi repressivi anche brutali; cui fa da controcanto il Ministro degli Interni Claudio Scajola, il quale ammetterà di aver dato l’ordine di sparare qualora i manifestanti avessero violato la zona rossa.
https://www.micromega-dev-net.mitigo.it/prima-della-mattanza-gli-avvenimenti-che-precedettero-il-g8-genovese-del-2001/

Le immagini che possiamo vedere ancora oggi, riportate soprattutto da chi stava esercitando il proprio diritto al dissenso, dimostrano che le autorità misero i manifestanti in condizione di dover lottare per la propria sopravvivenza. Come nelle dittature quando si manifesta contro il governo, in occidente quando si manifesta contro il sistema economico:

Camionette lanciate contro i manifestanti

Accanimento di più poliziotti contro chiunque si trovasse sulla loro traiettoria

con manganelli fuori ordinanza

Cariche illegittime

Violenze durante i fermi

Poliziotti che festeggiano i colpi e le ferite inflitte ai manifestanti (min. 3:02)

min. 1:18:14 https://www.youtube.com/watch?v=cWBnAxjeIRU&t=398s
20 Proiettili sparati di cui uno colpisce ed uccide Carlo Giuliani, sparato in faccia e investito dal defender nella quale è partito il colpo, come testimonia la telefonata del tenente colonnello Truglio con la centrale dei carabinieri. Dal min. 47:45

E bugie, tante e sporche.

Come conclusione della strategia di repressione contro i manifestanti, i vertici delle divise ordinarono l’irruzione dei Reparti mobili della Polizia di Stato, con il supporto operativo di alcuni battaglioni dei Carabinieri, nel complesso scolastico Diaz-Pertini e Pascoli, in quell’occasione adibito a centro stampa del coordinamento del Genoa Social Forum, luogo di soggiorno e pernottamento dei partecipanti alle manifestazioni organizzate sotto l’egida del Forum, a sede di strutture di primo soccorso e di supporto, anche legale, per organizzatori e partecipanti.

La perquisizione si conclude con 93 arresti e 82 feriti, di cui tre in prognosi riservata e un giornalista in coma. Degli 82 feriti, 63 vengono condotti in ospedale. I rimanenti 19, anche se feriti, vengono portati direttamente nella caserma di Bolzaneto. Parte dei ricoverati vengono prelevati nella notte e portati nella stessa caserma nella quale sono stati torturati per tre giorni senza aver alcun contatto con avvocati, parenti e il mondo esterno.

Per l’omicidio di Carlo Giuliani non c’è mai stato un processo. 10 manifestanti sono stati condannati per un totale di 100 anni di carcere, mentre nel 2019 lo Stato ha richiesto l’estradizione di un manifestante che si era rifatto una vita in Francia.

Chi era ai vertici delle armi durante questa strategia di repressione?

Il Capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, era Gianni De Gennaro, dal 2013 al 2020 Presidente di Leonardo SpA, prima azienda italiana di armamenti. Dopo il fallimento gestionale di Genova continua a ricoprire il ruolo con diversi governi; fu nominato Sottosegretario di Stato con delega alla sicurezza della Repubblica nel governo Monti.

Arnaldo La Barbera, poliziotto, in qualità di capo della Direzione centrale della Polizia di prevenzione (ex Ucigos) viene mandato a Genova dall’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. Ha il compito di riportare l’ordine pubblico.
La Barbera è stato capo della squadra mobile di Venezia dalla fine degli anni Settanta, impegnato anche in indagini antiterrorismo. È stato al centro delle vicende che hanno riguardato il depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio, dove nel 1992 fu ucciso il Magistrato Paolo Borsellino, poco dopo il suo collega Giovanni Falcone. Entrambi stavano indagando su Gladio.
Fra il settembre 1990 e il dicembre 1992 il dirigente della squadra mobile di Palermo e capo del gruppo investigativo sulle stragi di mafia versò in banca quasi 115 milioni di lire in contanti.
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/306-giustizia/98338
https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/verona/cronaca/24_marzo_09/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/05/22/
https://livesicilia.it/stragi-mafia-borsellino-la-barbera-depistaggio/

Gilberto Caldarozzi, ex responsabile della Sezione criminalità organizzata della Polizia, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi è stato vittima dei pestaggi perpetrati dagli agenti ala scuola Diaz. Nel 2017 diventa numero due della Dia, la Direzione investigativa antimafia.

Francesco Gratteri, Capo dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia, che coordinava il lavoro delle Squadre Mobili locali. Promosso anche lui.
Gilberto Caldarozzi, vice direttore dello Sco. Dopo i fatti di Genova viene promosso fino alla sentenza definitiva direttore dello Sco. Diventa consulente per la sicurezza di Finmeccanica con De Gennaro presidente.
https://www.teatronazionalegenova.it/wp-content/uploads/2018/05/Pdf-unico.pdf

Volevo concludere con delle riflessioni ma sinceramente gli eventi hanno già parlato abbastanza. Al di fuori della versione alla quale si vuole credere, c’è solo una domanda che voglio ancora porre. Ad oggi, in quanti di noi riescono ancora ad immaginarsi un mondo alternativo al modello neoliberista?

Questa non chiamatela democrazia.

2011, manifestazione degli Indignados contro le politiche della BCE, del FMI e dei governi nazionali

“Stavamo in una via non molto lontana da san giovanni dove ci fu il grosso degli scontri, stavamo andando verso la metro per tornare a casa quando ci trovammo un cordolo di poliziotti che veniva verso di noi al che ci voltammo per andare da un’altra parte con passo tranquillo ma ce n’era un altro dietro quindi ci siamo fermati pensando che si sarebbero allontanati senza coinvolgerci e invece hanno fermato tutte le persone in quella via e sono andati di perquisizione, manganellate sulle mani e arresto diretto; ci portarono al viminale e dopo un po’ di attesa ci hanno detto che andavamo a regina coeli e lunedi processo per direttissima. Comunque cominciarono a chiamarci uno alla volta dentro una stanza, cominciarono un’altra perquisizione e un controllo allo zaino di cui nel mentre mi prendevano a cazzotti sui reni e mi minacciavano che mi avrebbero ammazzato come Cucchi se avessero trovato armi o oggetti incriminanti nello zaino . Dopo alcune ore ci portarono a regina coeli dove restammo per una mesata, al processo di primo grado però si presentò una signora che riprendendo gli scontri dal balcone aveva ripreso noi per caso che stavamo fumando sotto casa e riprese il momento dell’arresto dove stavamo fermi mentre i poliziotti nel verbale d’arresto dissero che stavamo reagendo in maniera violenta ma nonostante il video la giudice disse che il video non valeva come prova e che valeva di più la parola dei poliziotti (Il video era una volta presente su Youtube. Da almeno due anni il video non si trova più ndr), sempre al primo grado l’accusa presentò un manico di piccone e ci voleva dare concorso ma per fortuna quelli della scientifica toccarono la prova a mani nude e non si poté più usare come prova; in soldoni dopo un anno di domiciliari dove nei primi sei mesi non potevo avere nessun contatto con gli amici e mi negarono anche il permesso di lavorare all’officina di mio padre che stava a 30m da casa, all’appello ci diedero la pena sospesa di 5 anni e via, cornuti e mazziati”

I 9 limiti planetari da non superare se vogliamo continuare a vivere sulla Terra (e se ce ne fosse un’altra non ci starebbe posto né per te né per me)

L’attenzione è l’insieme di quei meccanismi cognitivi che ci permettono di selezionare e filtrare gli stimoli che ci arrivano dal mondo esterno, per poi elaborare le informazioni e fornire agli altri e a noi stessi una risposta adeguata. È una funzione cognitiva fondamentale ai fini della sopravvivenza in quanto consente di organizzare le informazioni provenienti dall’esterno e di regolare di conseguenza i processi mentali necessari all’esecuzione di tutte le attività e le scelte quotidiane.
Esistono vari tipi di attenzione, una tra queste è “l’attenzione selettiva”. Si occupa di decidere quali informazioni sono importanti e quali meno.

La nostra mente percepisce il mondo esterno attraverso gli stimoli che le arrivano dai sensi ed è portata a semplificare l’enorme mole di informazioni che riceve per evitare di sovraccaricarsi.
Una cosa evidente e con uno sviluppo rapido e tangibile è facilmente riconoscibile, tutto il resto lo ignoriamo, importante o no che sia. Difatti, presi naturalmente dalle nostre vite, non ci siamo accorti di essere entrati in una nuova era geologica: l’Antropocene. Dal greco antropos, cioè umano, perché definisce l’epoca geologica nella quale l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana”.
Da cosa possiamo accorgercene? Basta prendere in considerazione alcuni parametri come la deforestazione, la cattura incontrollata di pesci, la concentrazione di Co2 o metano nell’atmosfera, le estinzioni delle specie ed osservare la loro curva. Tutte iniziano a salire a picco dagli anni ’50 in poi:

IPCC, 2013 CAMBIAMENTI CLIMATICI E GAS SERRA – OASI (RSE-WEB.IT
Let the environment guide our development | Johan Rockstrom – YouTube
he Sixth Mass Extinction is Real and Caused by Us – New Research – Heart of Borneo Project – Heart of Borneo Project



La nostra civiltà è apparsa dopo l’ultima glaciazione e l’inizio dell’Olocene, il periodo geologico innescatosi 10.000 anni fa caratterizzato da un clima stabile e più caldo.
Nel momento in cui vi fu stabilità ambientale diventammo sedentari, iniziammo a lavorare nei campi dopo aver scoperto l’agricoltura ed imparammo a domesticare animali e piante.
Costruimmo villaggi e città per poi farle diventare le grandi metropoli che conosciamo oggi, evolvendoci sempre più velocemente.

Nello spazio temporale di una vita umana, partendo da circa gli anni ’50, un punto invisibile sulla linea del tempo, abbiamo trasformato radicalmente lo stile di vita ed i consumi di una grande fetta d’umanità: i nostri nonni non avevano una televisione da bambini ma uno smartphone da anziani. Una generazione ha visto i muli da traino ed i voli low cost. Le merci quintuplicarsi ed i mestieri entrare nel sistema industria. Le merci provenire quasi esclusivamente dal sistema industria. Anche gli ospedali sono diventate aziende. Abbiamo iniziato ad estrarre i fossili per trasformarli in energia e al loro posto abbiamo messo rifiuti non compostabili. Siamo state le prime generazioni a mangiare frutta e verdura in quantità e in qualsiasi stagione dell’anno e nello stesso piatto carne tutti i giorni. Ci possiamo fare una doccia calda e lavare i panni in lavatrice e i piatti in lavastoviglie, avere un’infinità di vestiti a basso costo. Se abbiamo una domanda ci sono dei motori di ricerca per trovare l’informazione. Possiamo connetterci virtualmente.

La sicurezza economica e la scolarizzazione facilitarono lo stabilirsi di diritti civili ed ecco lì che la ricetta per l’abbondanza di una parte della civiltà fu scritta ed attuata.
Tuttavia, quando fu deciso il tipo di energia da usare per produrre tutta questa abbondanza si volle puntare su energie esauribili e inquinanti, invece che su energie pulite come suggerito da qualcun altro, https://84ground.com/la-chemiurgia-non-abbiamo-bisogno-di-inquinare mettendo, di fatto, al periodo di abbondanza una data di scadenza.

Prendiamo ad esempio un settore come quello agricolo, che dovrebbe assorbire la Co2 grazie alle piante coltivate. In realtà rappresenta più un quarto delle emissioni totali di gas serra, mentre negli anni ’90, per produrre cibo, serviva emettere in atmosfera il 44% delle emissioni totali di gas serra antropici.
Per il mercato attuale i prodotti con un elevato impatto sul pianeta sono quelli che costano di meno.
Where do greenhouse gas emissions come from? | University of California
FAO: I sistemi alimentari contribuiscono per oltre un terzo alle emissioni mondiali di gas a effetto serra – UNRIC Italia


Gli oceani ricoprono i due terzi del nostro pianeta, producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, definiscono il clima e ci danno lavoro, cibo e medicine.
Una delle funzionalità naturali degli oceani è assorbire il 25% della Co2 in atmosfera e restituire il 50% dell’ossigeno che respiriamo.
Masterclass – Come stanno i mari? – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (fondazionefeltrinelli.it)
Aumentando le emissioni di Co2 nell’atmosfera, sono aumentate anche le particelle assorbite dagli oceani, portandoli ad essere sempre più acidi.
Dall’epoca preindustriale a oggi l’acidità degli oceani è aumentata del 26%. Questo tasso di acidificazione è 10 volte più rapido rispetto a tutte le altre acidificazioni che sono avvenute negli ultimi 55 milioni di anni.
L’aumento dell’acidità degli oceani provoca la diminuzione degli ioni di carbonato nell’acqua, necessari agli animali marini col guscio, ai coralli e ad alcuni plancton a creare la propria struttura.
Inizialmente queste specie avranno difficoltà a creare i propri gusci, a fine secolo sarà l’acqua stessa e la sua composizione a scioglierli.
Si è calcolato che se a fine secolo continuassimo ad emettere nell’aria la quantità odierna di gas serra, l’acidità degli oceani aumenterà del 170%.
Ocean acidification – the evil twin of climate change | Triona McGrath | TEDxFulbrightDublin – YouTube


E per continuar a rigirar il dito nella piaga, visto che gli oggetti hanno una vita più lunga della nostra ci sono 6 isole di plastica in giro per gli oceani.
Le 6 isole di plastica più grandi al mondo – Corriere.it


Dal momento che abbiamo un problema chiamato “plant blindness” – non vedere le piante, un bias cognitivo che non ci fa notare le piante e non ci fa riconoscere la loro importanza – ignoriamo il fatto che l’ecosistema nella quale viviamo ha una struttura ben definita, con scambi chimici, cicli naturali e leggi fisiche, chimiche e biologiche indispensabili all’ambiente per creare le condizioni necessarie alla sopravvivenza umana.
Se per produrre ciò di cui hai bisogno aggiungi gas serra a quelli già presenti in natura, gas che servono a mantenere il pianeta caldo, e rilasci in 150 anni 140.000 particelle chimiche, tossiche e persistenti, alcuni di sintesi, altri liberati nell’atmosfera come il mercurio.


Se usi più risorse rispetto a quelle che il pianeta ti può dare, per rigor di logica, prima o poi una conseguenza la dovrai vivere.

È difficile e faticoso pensare a questa eventualità durante la routine, di conseguenza la ignoriamo.

August 14, 2018 Trajectories of the Earth System in the Anthropocene | PNAS

L’umano, con i propri costrutti, riesce a vivere parallelamente al pianeta che abita. La maggior parte degli umani, infatti, vive sul cemento. Spesso non ha un contatto giornaliero con la natura a causa della mancanza di verde nelle città. Estrae ed usa ciò che gli serve dalla terra sentendo solo le proprie necessità, e dall’inizio della rivoluzione industriale e dall’uso del petrolio, gli umani hanno assorbito un sistema diverso da quello tipicamente circolare della natura.
Per poco più di un secolo abbiamo giovato di tutto questo sistema, ma come l’energia che è stata scelta per la nostra prosperità, se rimangono queste le regole del gioco, anche la nostra sopravvivenza su questo pianeta avrà un limite.
Questo non è un problema come la crisi economica o il lavoro precario. In questo caso la soluzione non si può rimandare all’infinito. La natura ci mette a disposizione un tempo limitato nella quale ridimensionare l’impatto che abbiamo su di lei. Superato quel limite, la natura inizierà a dissestarsi per cercare un nuovo equilibrio e noi potremo solo osservare e subire questo processo, o per meglio dire, i bambini di oggi ed i loro figli.

Stability landscape showing the pathway of the Earth System out of the Holocene and
thus, out of the glacial–interglacial limit cycle to its present position in the hotter
Anthropocene. Will Steffen et al. PNAS doi:10.1073/pnas.1810141115

Il primo avvertimento sul pericolo delle emissioni in atmosfera lo abbiamo avuto nel 1896 dal premio Nobel per la chimica Svante Arrhenius. Poi, nel 1972, il Club di Roma commissionò al MIT uno studio sull’impatto umano nel proprio ecosistema chiamato “The Limits to Growth”, “Rapporto sui limiti dello sviluppo” in italiano. In sintesi, lo studio ha scoperto che se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso ed incontrollabile declino della popolazione e della capacità industriale.
http://www.portaledellasostenibilita.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=346&Itemid=62
Le reazioni a questo studio le potete leggere in questo link LIMITI_SVILUPPO_lezione.pdf (treccani.it). Dopo essere andati nel link cliccate su CTRL+f e digitate “le critiche e il dibattito”.

Da quel momento fino ad oggi le pubblicazioni e gli avvertimenti sullo stato di salute del nostro ecosistema sono diventati milioni ma l’economia e la politica hanno continuato a fare orecchie da mercante, trascinando e acutizzando il problema fino ad oggi, ed ora, che è il 2022 e la questione non è più ignorabile, la politica si è riunita più volte per sottoscrivere obiettivi futuri incoraggianti, ma non ancora trasferiti nella pragmaticità. L’ONU ha dichiarato che gli obiettivi sul clima stanno “lasciando il mondo sulla strada di un aumento della temperatura di almeno 3,2 gradi entro la fine di questo secolo”. La fine del secolo sarà quando i bambini di oggi avranno 70/80 anni.

Visto che è stata posticipata troppe volte e troppo a lungo la soluzione di questo problema, la mia è diventata l’ultima generazione a poter scegliere se vivere in un ambiente compatibile con la nostra vita o consumare le ultime risorse del Pianeta non lasciando nulla alle prossime generazioni, e mandando in malora migliaia di anni di evoluzione umana. Queste le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite nel settembre del 2018: “Se non cambiamo rotta entro il 2020, rischiamo di perdere il punto in cui possiamo evitare che il cambiamento climatico diventi incontrollato, con conseguenze disastrose per le persone e tutti i sistemi naturali che ci sostengono”.
Secretary-General’s remarks on Climate Change [as delivered] | United Nations Secretary-General

“The wedding cake” – organizzazione gerarchica dei Sustainable Development Goals
(SDGs) – Da Johan Rockström and Pavav Sukhdev – Stockholm Resilience Centre

Alla fine è solo questione di interessi. Un problema matematico e di volontà. Per fortuna i ricercatori ne hanno tanta.
Un gruppo di 30 scienziati hanno elaborato il grafico dei “9 limiti planetari” entro i quali le persone possono vivere e realizzarsi senza il pericolo di dissestare il proprio habitat naturale. Questo team ha esaminato numerosi studi interdisciplinari sui sistemi fisici e biologici della Terra ed ha individuato nove processi ambientali che potrebbero alterare drasticamente le capacità del pianeta di sostenere la vita umana. Per ciascuno di questi processi sono stati stabiliti limiti all’interno dei quali l’umanità può ritenersi al sicuro. Sette di essi hanno valori di soglia molto chiari, definiti in maniera scientifica per mezzo di un numero: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento da azoto e fosforo (riuniti sotto un’unica voce poiché tendono a verificarsi insieme), riduzione dell’ozono della stratosfera, acidificazione degli oceani, consumo globale di acqua dolce e uso globale del suolo. Gli altri due processi, inquinamento dovuto all’aerosol atmosferico e inquinamento chimico globale non sono stati studiati a sufficienza per stabilire limiti numerici precisi.
slide_16_limiti_per_un_pianeta_sano.pdf (manitese.it)

clicca sull’immagine

La conferenza di Yalta

Terza riunione al palazzo Livadia, 6 febbraio 1945

Verbali della conferenza di Yalta tratti dal libro “Da Teheran a Yalta (Verbali delle conferenze dei capi di governo della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale)”, Churchill, Roosevelt, Stalin.
Di seguito si potrà leggere parte della discussione sull’organizzazione internazionale di sicurezza (futuro ONU) tra Roosevelt, Churchill, Stalin ed i loro ministri.

1997: Project for the new American Century, l’istituto di ricerca neoconservatore

Che cosa fa un istituto di ricerca? Pubblica articoli, studi o progetti di legislazione su particolari questioni politiche o sociali. Dopodiché queste informazioni vengono utilizzate da governi, aziende, organizzazioni dei media, movimenti sociali o altri gruppi di interesse per il conseguimento di un fine. In pratica, un gruppo di intellettuali, politici o imprenditori hanno un obiettivo da raggiungere, gli istituti di ricerca creano teorie e strategie da seguire.

Di esempi a dimostrazione dell’utilità degli istituti di ricerca ce ne sono stati molti nel XX secolo: Il “Team B”, citato sopra, ha fatto lavoro di ricerca per una guerra fredda più aggressiva, l’Heritage Foundation, American Enterprise Institute, il Cato Institute sono serviti per promuovere gli ideali conservatori nella società americana ed ammorbidire l’allarmismo rispetto all’inquinamento ambientale, portando nella dialettica mediatica la sostituzione del termine “riscaldamento globale” con “cambiamento climatico”, mentre nel 1997 il movimento dei neoconservatori fondava il “Project for the New American Century” (Pnac).

Questo istituto di ricerca serviva a ribadire ciò che i padri fondatori neoconservatori già avevano dichiarato negli anni precedenti:

“Dobbiamo aumentare significativamente la spesa per la difesa se vogliamo svolgere le nostre responsabilità globali oggi e modernizzare le nostre forze armate per il futuro; dobbiamo rafforzare i nostri legami con gli alleati democratici e sfidare i regimi ostili ai nostri interessi e valori; dobbiamo promuovere la causa della libertà politica ed economica all’estero; dobbiamo accettare la responsabilità del ruolo unico dell’America nel preservare ed estendere un ordine internazionale favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri principi. Serve un esercito forte e pronto ad affrontare le sfide presenti e future; una politica estera che promuova coraggiosamente e intenzionalmente i principi americani all’estero e una leadership nazionale che accetti le responsabilità globali degli Stati Uniti”.

Le finalità del Pnac erano quelle di stabilire chiaramente quando e come gli Stati Uniti sarebbero stati chiamati a sostenere la democrazia al di fuori del proprio territorio, e quali effetti ciò potesse avere sull’equilibrio geopolitico. A tal fine, questa organizzazione si impegnava a promuovere la democrazia nel mondo attraverso pubblicazioni, conferenze, seminari e incontri sulla politica estera, per favorire la nascita di una nuova classe dirigente capace di una presa di coscienza e di una responsabilità politica più attente alla dimensione etica dell’agire americano nel mondo e raccogliere sostegno per la leadership globale americana.

L’ascendente di questa organizzazione fu decisamente ampio e andò ben oltre la galassia neoconservatrice. Collaborarono ai suoi lavori, o firmarono position papers e missive indirizzate al mondo della politica, personaggi provenienti da diversi schieramenti: a destra, i cosiddetti “falchi” unilateralisti come Dick Cheney e Paul Wolfowitz, da sempre sostenitori dell’eccezionalità americana e di un unipolarismo aggressivo in ambito internazionale; così come i realisti pragmatici, come Condoleezza Rice, Richard Armitage e Colin Powell, i quali ribadivano la necessità di interventi mirati volti a tutelare gli interessi economici e la sicurezza dell’America sulla scena globale. Anche dagli indipendenti, e persino da alcuni liberali, giunse in maniera ufficiosa l’appoggio all’unipolarismo così come formulato dal Pnac: personaggi di spicco sostennero la necessità di esercitare la potenza americana per il bene degli Usa e del mondo.

‎Il primo ordine del giorno del PNAC era l’Iraq, che, come scrisse George Packer nel suo libro del 2005 ‎‎The Assassins’ Gate,‎‎sarebbe servito “come banco di prova per le idee [neoconservatrici] sul potere americano e sulla leadership mondiale“.
Sconvolti per il fallimento del primo presidente Bush nel cacciare Saddam Hussein, i neoconservatori si erano a lungo agitati per un’azione più aggressiva degli Stati Uniti, scrivendo numerosi articoli sull’argomento, creando gruppi di pressione come il Comitato per la Pace e la Sicurezza nel Golfo (i cui membri includevano Abrams, Khalilzad, Perle, Rumsfeld, Wolfowitz, ‎‎Douglas Feith,‎‎ ‎‎John Bolton‎‎e ‎‎David Wurmser)‎ ‎ed attirando altre fazioni dell’establishment repubblicano alla causa.
In Iraq, il PNAC e i suoi alleati apparentemente videro l’opportunità di raggiungere due obiettivi separati ma correlati: mostrare al mondo che gli Stati Uniti erano la potenza globale dominante intraprendendo, nelle parole di ‎‎Charles Krauthammer,‎‎ “una ristrutturazione del panorama politico mediorientale lungo linee coerenti con la visione dei neoconservatori per la sicurezza israeliana”, che avevano delineato in numerosi documenti già dalla metà degli anni 1990.
(Institute for Advanced Strategic and Political Studies, “A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm,” 1996, which argued that “removing Saddam Hussein from power in Iraq [is] an important Israeli strategic objective in its own right.”)

‎Nel gennaio 1998, il PNAC pubblicò una lettera aperta al presidente Bill Clinton sostenendo che il “contenimento” dell’Iraq “si è costantemente eroso”, mettendo a repentaglio la regione. “Data l’entità della minaccia, l’attuale politica, che dipende per il suo successo dalla fermezza dei nostri partner della coalizione e dalla cooperazione di Saddam Hussein, è pericolosamente inadeguata”.

‎Il PNAC seguì pochi mesi dopo con una lettera aperta al leader del Senato Trent Lott (R-MS) e al presidente della Camera ‎‎Newt Gingrich‎‎ (R-GA), sostenendo che “l’unico modo per proteggere gli Stati Uniti e i loro alleati dalla minaccia delle armi di distruzione di massa è mettere in atto politiche che porterebbero alla rimozione di Saddam e del suo regime dal potere“.
Letter to President Clinton on Iraq (archive.org)

Gli anni ’90 all’opposizione

Nell’ultimo decennio del ventesimo secolo i neoconservatori fremevano: le aspettative e le ambizioni erano tante, ma i governi in carica (Bush senior e Clinton) non agivano come speravano.

I “padri fondatori” della filosofia neocons, quella filosofia che pretendeva una politica estera spregiudicata, quella con una fiducia quasi illimitata nella potenza americana, convinta che l’applicazione del potere degli Stati Uniti in ambito internazionale porti necessariamente al bene dell’America, e nella maggioranza dei casi anche al bene per il resto del mondo, erano risentiti.
In merito al dibattito riguardante la missione americana nel mondo, un’importante commento lo diede Irving Kristol, il ‎giornalista soprannominato il “padrino del ‎‎neoconservatorismo”: come fondatore, editore e collaboratore di varie riviste, ha svolto un ruolo influente nella cultura intellettuale e politica dell’ultima metà del XX secolo.‎‎ Dopo la sua morte, fu descritto dal ‎‎ ‎‎Daily Telegraph‎‎ ‎come “l’intellettuale ‎‎pubblico‎‎ più importante della seconda metà del ventesimo secolo”
Irving Kristol’s gone – we’ll miss his clear vision – Telegraph (archive.org).‎

Era il 1996 quando Kristol si chiese dove potesse celarsi il nuovo nemico degli Stati Uniti, quel nemico che avrebbe dovuto unire tutti i fronti politici affinché rispondessero alla chiamata del destino. Non senza una nota provocatoria, si augurava l’apparizione di un nemico minaccioso, dalla connotazione ideologica netta ed incontrovertibile, un nemico all’altezza dell’America insomma, che finalmente avrebbe unificato il paese portandolo all’azione. (I. KRISTOL, A Post-Wilsonian Foreign Policy, «The Wall Street Journal», 2 agosto 1996.
A Post-Wilsonian Foreign Policy – WSJ)

Era il periodo dell’apparizione degli “stati canaglia”. Come descrissero Gary Schmitt e Robert Kagan (inutile dirlo, neoconservatori anche loro) una volta venuto meno il deterrente della guerra fredda, erano ora “liberi di perseguire i propri obiettivi in regioni di importanza strategica per gli Stati Uniti ed i loro alleati”. (R. KAGAN e G. SCHMITT, Now May We Please Defend Ourselves? «Commentary », luglio 1998.)

Nel 1998, nella relazione finale della Commission to Assess the Ballistic Missile Threat, un gruppo di esperti – tra cui ancora Paul Wolfowitz, e James Woolsey, Jr. – metteva in guardia l’America verso alcuni “Stati canaglia” che avrebbero potuto sviluppare missili balistici e danneggiare il paese, ed invocava una reazione decisa per anticipare il pericolo e scongiurarlo prima che esso potesse materializzarsi e colpire.
Ma questa volta non ne volevano proprio sapere. Gli appelli di questi uomini politici, così come quelli del neoconservatorismo, non ebbero alcun seguito.
I neocon e l’11 settembre. Una svolta valoriale nella politica estera USA (loccidentale.it)

Era arrivato il momento di instaurare un nuovo istituto di ricerca.

1989: Il crollo del muro di Berlino e del nemico sovietico

L’Unione Sovietica si era sgretolata di fronte al suo ultimo tentativo di espansione. L’Afghanistan aveva inghiottito il nemico degli Stati Uniti concludendo così una guerra che aveva occupato quasi tutta una metà di un secolo. 44 anni di conflitto che divise il mondo in due parti bellicose dove ognuno doveva scegliere da che parte stare. Ora ne era rimasta una sola.

Il nemico che avevano rincorso per tutti quegli anni era crollato e la gigante macchina che alimentava la guerra si era fermata. La potenza rivale non c’era più e gli Stati Uniti avevano di fronte a loro due vie: mantenere i propri confini saldi o allargarli.

Il 18 febbraio del 1992 fu distribuito ai capi militari e civili del dipartimento della difesa un documento denominato “Defense Planning Guidance for the Fiscal Years 1994-1999”, la nuova strategia della difesa statunitense post guerra fredda: uno studio di quarantasei pagine volto ad impedire il nascere di una nuova potenza rivale degli USA. Volto a legittimare la guerra preventiva e promuovere un ruolo di preminenza degli Usa nel mondo.

Questo documento fu scritto su richiesta di Dick Cheney, l’allora segretario della difesa di George H. W. Bush, dalla squadra del Pentagono di Wolfowitz, di cui facevano parte anche Zalmay Khalilzad e Lewis Libby. Tutti e quattro neoconservatori e coinvolti – tranne Khalilzad- nelle vecchie politiche anti-russe.
doc03_full.pdf (gwu.edu)

Ma una fuga di notizie portò il “Defense Planning Guidance” all’attenzione pubblica, suscitando le proteste dell’ala democratica del congresso a causa dei massicci aumenti della spesa pubblica per la difesa.
In seguito alla fuga di notizie, il presidente Bush senior diede alla squadra l’ordine di riscrivere e ammorbidire il documento. Ciò nonostante, la stesura di Wolfowitz rimase in circolazione per parecchie settimane ai vertici più alti del Pentagono, riscuotendo la pubblica approvazione di Cheney e di Colin Powell (all’epoca capo degli Stati maggiori riuniti)
1992 Wolfowitz U.S. Strategy Plan Document (colum.edu)

Coloro che negli anni ’80 erano riusciti ad inasprire i rapporti tra USA e URSS, continuavano a ricoprire i ruoli centrali della politica estera statunitense. La differenza era che il mondo era cambiato, gli Stati Uniti erano diventati una potenza senza eguali, ed ora, chi ne aveva l’ambizione, poteva puntare molto più in alto.

1974 – La presidenza Ford e l’esasperazione del nemico sovietico

Dopo lo scandalo che investì la presidenza Nixon i neoconservatori si ritrovarono un partito repubblicano senza più i loro avversari. Ford fu il presidente che gli successe e fece entrare nella sua squadra uno degli esponenti più attivi dei neoconservatori: Donald Rumsfeld, un nome che sentirete ripetere più volte nei prossimi capitoli.

Da quel momento le teorie neoconservatrici potevano trovare spazio nella pratica, tuttavia, per ridare all’Unione Sovietica quell’immagine di avversario temibile ed avido, non bastavano le conferenze stampa ma servivano documenti e studi per poter avvallare le proprie ipotesi e ribaltare le informazioni della CIA, che descrivevano con tutt’altre parole il nemico russo.

Conferenza stampa di Donald Rumsfeld mentre enfatizza la pericolosità della potenza sovietica. 1976

Nel 1974 Albert Wohlstetter, professore dell’Università di Chicago e figura chiave nella strategia della guerra nucleare e nella riprogettazione della politica estera americana, accusò la CIA di sottovalutare sistematicamente il dispiegamento di missili sovietici, facendo sì che i conservatori iniziassero un attacco sistematico alla valutazione annuale della CIA sulla minaccia sovietica.
Nell’estate dello stesso anno, Wohlstetter scrisse nel giornale neoconservatore “Foreign Policy” un articolo dal titolo “Esiste una corsa agli armamenti strategici?”, concludendo che gli Stati Uniti stavano permettendo all’Unione Sovietica di raggiungere la superiorità militare non colmando il “divario missilistico”. Is There a Strategic Arms Race? on JSTOR

Sotto l’influenza di Rumsfeld, il presidente Ford fondò un istituto privato di ricerca dal nome “Team B Strategic Objectives Panel” con a capo il professore dell’università di Harvard e neoconservatore Richard Pipes. I suoi membri includevano Paul Wolfowitz, ex studente di Wohlstetter all’Università di Chicago e I. Lewis Libby, futuro capo dello staff della vice presidenza di Cheney ed anch’esso neoconservatore.
Paul Nitze, co-fondatore del Team B, aiutò nello stesso periodo a creare il Committee on the Present Danger (CPD) i quali obiettivi erano “aumentare la consapevolezza sul presunto dominio nucleare dei sovietici e di fare pressione sulla leadership americana per colmare il divario”.
Team B Strategic Objectives Panel – Militarist Monitor (militarist-monitor.org).
The B Team (sagepub.com)

Per far sì che il Team B potesse iniziare a lavorare, era necessaria la firma dell’allora direttore della CIA William Colby, che si rifiutò. Come lui stesso ammise: “è difficile immaginare come un gruppo indipendente di analisti ad hoc possa preparare una valutazione più completa sulle capacità strategiche sovietiche di quanto potrebbe fare la comunità dell’intelligence».

Poi il “Massacro di Halloween”‎‎ avvenne. Termine usato dai giornali per descrivere la riorganizzazione del ‎‎gabinetto‎‎ del ‎‎presidente‎‎ ‎‎‎‎Ford, avvenuta‎‎ il 4 novembre 1975.
Fu un tentativo di affrontare i molteplici scontri politici e di personalità di alto livello all’interno dell’amministrazione repubblicana.‎‎ ‎Infatti la leadership del presidente non era salda, pesantemente criticata dal governatore della California ‎‎Ronald Reagan‎‎ e dagli altri astri nascenti dell’ala ‎‎conservatrice‎‎ ‎‎del Partito Repubblicano.‎‎

Donald Rumsfeld passò da capo di gabinetto della Casa Bianca a ministro della difesa e la sua carica iniziale fu assunta da Dick Cheney, personaggio che nel corso del tempo ha fatto le veci dei neoconservatori più agguerriti, futuro vice presidente degli Stati Uniti.
Gli uffici del segretario di Stato e del Consigliere per la sicurezza nazionale, una volta ricoperti da un unico ruolo, furono divisi e Kissinger ne mantenne uno solo. Mentre Colby, il direttore della CIA che si rifiutò di firmare l’inizio dei lavori del “Team B”, fu licenziato e sostituito da George H. W. Bush, che firmò al suo posto.

In riferimento al “massacro di Halloween”, importante da ricordare è la lettera che Donald Rumsfeld, ancora capo di gabinetto, scrisse e spedì al Presidente Ford riguardo la sua problematica di leadership.
24 ottobre 1975: “Signor Presidente, tengo molto a lei come persona e al suo successo. Ho lavorato sodo qui alla Casa Bianca e mi è piaciuto farlo. Ho a cuore il Paese e credo che sia di vitale importanza che lei sia rieletto e che le politiche della sua Amministrazione siano continue. […] So che il morale è basso, ma credo che sia a causa dell’approccio organizzativo che lei ha tollerato. […] Lei deve essere libero di decidere, senza mettere in dubbio le motivazioni di coloro che fanno le raccomandazioni. Siamo convinti che il lavoro di cui avete bisogno non può essere fatto se non avvengono questi grandi cambiamenti. Lei deve essere libero di decidere al di là di qualsiasi relazione personale, compresi noi. Pertanto, le nostre dimissioni sono allegate”.
Pag. 1-2-3 1975-10-24 To Gerald Ford re Re-election and Rumsfeld and Cheney Resignations – Clean Cover Page Version.pdf)
Film documentario The Unknown Known: The Life and Times of Donald Rumsfeld, di Errol Morris, 2013

L’istituto “Team B” iniziò i lavori nel maggio del 1976 e gli esiti della ricerca non furono una sorpresa: secondo il report la CIA sottovalutava costantemente la pericolosità sovietica: “le prove concrete su cui si basano, si riferiscono principalmente alle capacità dell’avversario piuttosto che alle sue intenzioni, alle sue armi piuttosto che alle sue idee, motivi ed aspirazioni”.
9 Team B Panel Report on Soviet Strategic Objectives (degruyter.com)

Secondo il gruppo indipendente di ricerca, la CIA stava preparando gli Stati Uniti alla sconfitta della Guerra Fredda.

Chiaramente il Team B non prese in considerazione le condizioni di declino dell’Unione Sovietica di metà anni ’70, la bassa qualità dei missili, carri armati ed aerei. Non analizzò neppure i problemi di alcolismo e defezione che stava vivendo l’armata russa. Il loro unico obiettivo era mostrare all’amministrazione americana che di fronte a loro c’era un nemico da dover combattere, e ci riuscirono. L’istituto di ricerca privato riuscì a modellare la visione dei repubblicani sulle azioni da dover prendere nei confronti dell’Unione Sovietica, in barba alle informazioni raccolte da un organo autorevole come quello della CIA. Infatti quando il successivo presidente repubblicano – Reagan – salì alla presidenza, i toni più che esser caldi ardevano: il blocco sovietico fu definito dal nuovo presidente “l’impero del male” ed il conflitto tra le due potenze era diventato “tra democrazia e comunismo, elezioni e dittatura, libertà e tirannia. Tra la luce della libertà e le tenebre dell’oppressione”. Crearono un clima così pieno di tensione che fu necessario dare a quel periodo storico un nuovo nome: “la Seconda Guerra Fredda”.

La seconda guerra fredda (geo.tesionline.it)

Musica per le orecchie dei neoconservatori, che nel tanto erano riusciti a far guadagnare ai repubblicani una valanga di voti grazie all’alleanza con la destra religiosa, in cambio di ruoli nell’amministrazione governativa di Reagan: Paul Wolfowitz era stato messo a capo della segreteria relazioni estere della Casa Bianca, mentre Richard Pearl diventava vice ministro della difesa.

Che abbiano realmente influenzato il governo USA o no, la politica estera stava viaggiando, in linea di massima, come teorizzato dai primi neoconservatori, trainata dalla lotta del bene contro il male, e da un budget del Pentagono sempre più alto.

Tuttavia, la guerra dura finché hai un nemico da combattere.



La P2 è stata una loggia massonica segreta ed eversiva, attiva in Italia durante la Guerra Fredda. Una rete di uomini agli alti vertici delle istituzioni italiane che si sono serviti del proprio ruolo nello Stato per perseguire gli obiettivi della loggia.
Legata agli eventi più oscuri della storia italiana di metà ‘900 – dalla strage di Bologna, al rapimento ed esecuzione dello statista Aldo Moro, dal golpe Borghese, fino ad arrivare ai legami con la malavita italiana, componenti del Vaticano e servizi segreti italiani e di paesi esteri – nel 1981 fu scoperta la lista degli iscritti lunga 962 nomi.
Nell’immagine, l’elenco delle cariche italiane coinvolte nella P2, testimoniate nel libro “Italia Occulta” di Giuliano Turone, il magistrato che dispose la perquisizione domiciliare di tutti i recapiti noti di Licio Gelli, “maestro venerabile” della loggia massonica P2.
La loggia massonica riuscì, attraverso questa strategia, a prendere le redini dello Stato e a deviare a proprio piacimento un pezzo di storia della Repubblica italiana.

QUESTA NON CHIAMATELA DEMOCRAZIA
NEOCONS – IL TEMPO NON MENTE MAI

Gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970

Gli anni ’60 furono caratterizzati dalla messa in discussione della morale e dei principi che fino a quel momento avevano caratterizzato la società civile, e del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Chi fino a quel momento non aveva avuto diritto all’autodeterminazione, chi era stato segregato sin dalla nascita, si rifiutò di continuare a vivere in quelle condizioni: femministe ed attivisti per i diritti degli afroamericani iniziarono a far sentire la loro voce e a manifestare per una nuova visione della vita e della società.

Erano gli anni del divorzio, della pillola contraccettiva e della guerra in Vietnam. Una guerra disastrosa che provocò la morte di migliaia di soldati statunitensi, 30.000 già nel 1968.
Quando una guerra si perde mostra a chiunque la sua brutalità, difatti nacquero in tutto il paese gruppi pacifisti che misero in dubbio le guerre per la “libertà” degli Stati Uniti. Gruppi che si diffusero a macchia d’olio davanti ai consolati USA di tutto il mondo, al grido “Yankee go home”. Martin Luther King, che in quel periodo aveva radunato in piazza più di 200.000 persone, definiva la guerra “il vero nemico dei poveri” e migliaia di giovani disertarono, rifiutandosi di combattere la guerra in Vietnam.
La contestazione della guerra del Vietnam (storicamente.org)

La Guerra Fredda non poté che subire un freno. Dopo venti anni di conflitto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica gli obiettivi delle due potenze non risiedevano più nella sola aggressione reciproca, ma anche in accordi bilaterali. Il primo fu sul disarmo nucleare, mentre nel giugno del 1963 fu instituita una linea telefonica permanente tra Casa Bianca e Cremlino per la gestione delle emergenze. Nel 1967 firmarono il “Trattato sullo spazio extra-atmosferico” che vietava l’uso dello spazio per fini nucleari, mentre nel 1968 il trattato riguardava lo stop alla proliferazione delle armi nucleari nel mondo.

Le condizioni sociali e politiche degli anni ’60 stavano portando ad una nuova visione delle persone, basate sui diritti dell’individuo e la libertà d’essere, contro i precetti religiosi e tradizionali. La politica iniziò a preferire le relazioni bilaterali e le persone non erano più interessate ad un conflitto tra due blocchi, in un mondo che stava diventando sempre più complesso.

Non tutti, però, avevano intenzione di accettare questi cambiamenti. All’interno del partito che appoggiava (moderatamente) le rivoluzioni civili e le distensioni dei rapporti con l’URSS – il partito democratico – insorse un gruppo di suoi componenti e sostenitori, i quali ritenevano inaccettabile tenere dei rapporti pacifici con la Russia comunista. Per loro la guerra fredda rappresentava innanzitutto uno scontro tra “civiltà e barbarie, libertà e schiavitù”.

(V. GOSSE, A Movement of Movements. The Definition and Periodization of the New Left,in J.C. AGNEW–R. ROSENZWEIG(eds), A Companion to Post-1945  America, Malden Mass., Blackwell, 2002, pp. 277-302. Si veda inoltre M. KAZIN –M.ISSERMAN, America Divided: The Civil War of the 1960s, Oxford, Oxford University Press, 2000).

Chi sosteneva un inasprimento delle relazioni con la Russia si scinse dal partito democratico per migrare verso i repubblicani, più vicini al loro pensiero.
Questo gruppo di politici, unito con intellettuali, giornalisti, analisti e funzionari, si definirono tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘70 “neoconservatori”. I nuovi conservatori, il quale pensiero si ispirava al filosofo Leo Strauss, colui che vedeva nella libertà individuale il declino della società e del suo funzionamento, convinto che “la crisi dell’Occidente derivi dalla sua incertezza rispetto al suo scopo”.

Il pensiero neoconservatore nacque nelle università, si diffuse tra i suoi studenti e superò i confini accademici attraverso le riviste fondate dai suoi più illustri portavoce: Irving Kristol, che  come  pochi  altri  può  ambire  al  ruolo di Padre del neoconservatorismo statunitense, fondò il Public Interest proprio nel 1965 con l’iniziale obiettivo di  riaffermare  un  approccio  pragmatico,  empirico  e  liberale  in  contrapposizione all’utopismo ideologico (e intrinsecamente pericoloso) di cui sarebbe caduto vittima il Partito Democratico.
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Intellettuali e giornalisti affascinarono con la loro visione degli Stati Uniti e del loro ruolo nel mondo uomini della politica e dell’amministrazione, che cercarono di riportare nel concreto le loro teorie, soprattutto nel campo della politica estera.

Servì qualche anno per vedere i membri neoconservatori scalare le vette dei governi statunitensi, fino a riuscire a ricoprire i più alti ruoli decisionali (vice presidente, ministro e viceministro della difesa, giusto per citarne alcuni) e vedere esaudire il loro sogno neoconservatore.

Il nostro viaggio temporale, e la loro scalata, inizia negli anni ’70.