La P2 è stata una loggia massonica segreta ed eversiva, attiva in Italia durante la Guerra Fredda. Una rete di uomini agli alti vertici delle istituzioni italiane che si sono serviti del proprio ruolo nello Stato per perseguire gli obiettivi della loggia.
Legata agli eventi più oscuri della storia italiana di metà ‘900 – dalla strage di Bologna, al rapimento ed esecuzione dello statista Aldo Moro, dal golpe Borghese, fino ad arrivare ai legami con la malavita italiana, componenti del Vaticano e servizi segreti italiani e di paesi esteri – nel 1981 fu scoperta la lista degli iscritti lunga 962 nomi.
Nell’immagine, l’elenco delle cariche italiane coinvolte nella P2, testimoniate nel libro “Italia Occulta” di Giuliano Turone, il magistrato che dispose la perquisizione domiciliare di tutti i recapiti noti di Licio Gelli, “maestro venerabile” della loggia massonica P2.
La loggia massonica riuscì, attraverso questa strategia, a prendere le redini dello Stato e a deviare a proprio piacimento un pezzo di storia della Repubblica italiana.

QUESTA NON CHIAMATELA DEMOCRAZIA
NEOCONS – IL TEMPO NON MENTE MAI

Gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970

Gli anni ’60 furono caratterizzati dalla messa in discussione della morale e dei principi che fino a quel momento avevano caratterizzato la società civile, e del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Chi fino a quel momento non aveva avuto diritto all’autodeterminazione, chi era stato segregato sin dalla nascita, si rifiutò di continuare a vivere in quelle condizioni: femministe ed attivisti per i diritti degli afroamericani iniziarono a far sentire la loro voce e a manifestare per una nuova visione della vita e della società.

Erano gli anni del divorzio, della pillola contraccettiva e della guerra in Vietnam. Una guerra disastrosa che provocò la morte di migliaia di soldati statunitensi, 30.000 già nel 1968.
Quando una guerra si perde mostra a chiunque la sua brutalità, difatti nacquero in tutto il paese gruppi pacifisti che misero in dubbio le guerre per la “libertà” degli Stati Uniti. Gruppi che si diffusero a macchia d’olio davanti ai consolati USA di tutto il mondo, al grido “Yankee go home”. Martin Luther King, che in quel periodo aveva radunato in piazza più di 200.000 persone, definiva la guerra “il vero nemico dei poveri” e migliaia di giovani disertarono, rifiutandosi di combattere la guerra in Vietnam.
La contestazione della guerra del Vietnam (storicamente.org)

La Guerra Fredda non poté che subire un freno. Dopo venti anni di conflitto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica gli obiettivi delle due potenze non risiedevano più nella sola aggressione reciproca, ma anche in accordi bilaterali. Il primo fu sul disarmo nucleare, mentre nel giugno del 1963 fu instituita una linea telefonica permanente tra Casa Bianca e Cremlino per la gestione delle emergenze. Nel 1967 firmarono il “Trattato sullo spazio extra-atmosferico” che vietava l’uso dello spazio per fini nucleari, mentre nel 1968 il trattato riguardava lo stop alla proliferazione delle armi nucleari nel mondo.

Le condizioni sociali e politiche degli anni ’60 stavano portando ad una nuova visione delle persone, basate sui diritti dell’individuo e la libertà d’essere, contro i precetti religiosi e tradizionali. La politica iniziò a preferire le relazioni bilaterali e le persone non erano più interessate ad un conflitto tra due blocchi, in un mondo che stava diventando sempre più complesso.

Non tutti, però, avevano intenzione di accettare questi cambiamenti. All’interno del partito che appoggiava (moderatamente) le rivoluzioni civili e le distensioni dei rapporti con l’URSS – il partito democratico – insorse un gruppo di suoi componenti e sostenitori, i quali ritenevano inaccettabile tenere dei rapporti pacifici con la Russia comunista. Per loro la guerra fredda rappresentava innanzitutto uno scontro tra “civiltà e barbarie, libertà e schiavitù”.

(V. GOSSE, A Movement of Movements. The Definition and Periodization of the New Left,in J.C. AGNEW–R. ROSENZWEIG(eds), A Companion to Post-1945  America, Malden Mass., Blackwell, 2002, pp. 277-302. Si veda inoltre M. KAZIN –M.ISSERMAN, America Divided: The Civil War of the 1960s, Oxford, Oxford University Press, 2000).

Chi sosteneva un inasprimento delle relazioni con la Russia si scinse dal partito democratico per migrare verso i repubblicani, più vicini al loro pensiero.
Questo gruppo di politici, unito con intellettuali, giornalisti, analisti e funzionari, si definirono tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘70 “neoconservatori”. I nuovi conservatori, il quale pensiero si ispirava al filosofo Leo Strauss, colui che vedeva nella libertà individuale il declino della società e del suo funzionamento, convinto che “la crisi dell’Occidente derivi dalla sua incertezza rispetto al suo scopo”.

Il pensiero neoconservatore nacque nelle università, si diffuse tra i suoi studenti e superò i confini accademici attraverso le riviste fondate dai suoi più illustri portavoce: Irving Kristol, che  come  pochi  altri  può  ambire  al  ruolo di Padre del neoconservatorismo statunitense, fondò il Public Interest proprio nel 1965 con l’iniziale obiettivo di  riaffermare  un  approccio  pragmatico,  empirico  e  liberale  in  contrapposizione all’utopismo ideologico (e intrinsecamente pericoloso) di cui sarebbe caduto vittima il Partito Democratico.
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Intellettuali e giornalisti affascinarono con la loro visione degli Stati Uniti e del loro ruolo nel mondo uomini della politica e dell’amministrazione, che cercarono di riportare nel concreto le loro teorie, soprattutto nel campo della politica estera.

Servì qualche anno per vedere i membri neoconservatori scalare le vette dei governi statunitensi, fino a riuscire a ricoprire i più alti ruoli decisionali (vice presidente, ministro e viceministro della difesa, giusto per citarne alcuni) e vedere esaudire il loro sogno neoconservatore.

Il nostro viaggio temporale, e la loro scalata, inizia negli anni ’70.