Questa non chiamatela democrazia

Normalità

Sono nata nel 1994, qualche mese prima dell’esordio di Berlusconi in politica, numero di tessera 1816. Nata nella zona del mondo che consideriamo democratica.
Infanzia felice, adagiata dentro la casa di proprietà dei miei genitori in una provincia romana dove il degrado era visibile solo agli occhi degli adulti.
Mai sentito fame, mai assistito ad episodi di violenza. A scuola avevo i miei amichetti e potevo andarci tutte le settimane, dal lunedì al venerdì.
Un’infanzia vissuta nell’amore di una famiglia del ceto medio.

La prima volta che vidi degli adulti spaventati fu nel settembre dell’inizio secolo. Li avevo visti sempre riunirsi davanti alla televisione ma mai circondarla in piedi con quello sguardo che ancora non riuscivo ad interpretare, e quando cercai di attirare l’attenzione verso di me mettendo uno a fianco all’altro i miei due fratellini ed io a braccia aperte ad interpretare quello che stavamo guardando tutti in tv, per la prima volta vidi sul viso di mia madre un’espressione che ancora non conoscevo: la paura. “Adesso no Irene, è successo qualcosa di molto grave”. È uno dei primi ricordi che ho, simile a quello della metro B di Roma e quel signore con quel copricapo strano in testa e la pelle più scura della mia che tanto mi fece paura, e tanto mi lasciò interdetta anni dopo, quando mi accorsi che quel signore era un indiano sikh e che le uniche cose che aveva in comune con quella tragedia era il colore della pelle dei presunti terroristi.
Poco prima di quell’evento catalizzante ne avvenne un altro ma non ne ricordo nulla. Il massacro fisico e psicologico della popolazione civile che si era riunita a Genova per esercitare il proprio diritto al dissenso, contro chi continuava a prendere decisioni le cui conseguenze non ricadevano mai su chi blindato le aveva prese, ma su chi protestando veniva chiamato dalle autorità:

“Zecca, figlio di puttana, stronzo, comunista di merda,
bombarolo di merda, devi morire lurido comunista.
Negro di merda, schifoso, comunista di merda.
Comunista frocio.
Omosessuale, comunista, merdoso, frocio, ebreo, bastardo.
Comunisti di merda, puttane e zecche.
Entreremo nella cella e dipingeremo i muri con i nostri manganelli dello stesso colore della vostra bandiera.
Siete delle bocchinare, puzzate sporche bastarde.
Troie, dovete fare pompini a tutti.
Vi portiamo fuori nel furgone e vi stupriamo.
Troie, ebree, puttane.
Entro stasera vi scoperemo tutte.
Senti che schifo questi froci come puzzano.
Vi diamo fuoco; siete delle merde e dei parassiti.
Uno di meno, siete uno di meno.
La notte è lunga e questo è solo l’inizio.”
https://www.nazioneindiana.
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“Uno a zero per noi”. Avevo 7 anni.

L’anno dopo iniziavo ad ascoltare in modo diverso quei discorsi in tv ma ancora non riuscivo a capire tutte quelle parole dette da quegli adulti in giacca e cravatta e da altri vestiti come le persone che vedevo tutti i giorni nella mia città
Avevo capito che il G8 fossero le persone riversate in piazza. Ero ancora troppo piccola.

A 8 anni sapevo ormai leggere bene e la prima parola che scoprii finire con una consonante fu “Iraq”. Furono anche le prime bombe che vidi in tv, scarne e senza significato perché agli occhi di una bambina nata in un paese democratico quelle bombe sembravano fuochi d’artificio, e i fuochi d’artificio agli occhi di una bambina scappata da quei luoghi sembravano bombe, nascosta sotto un tavolo per paura di essere di nuovo in pericolo.

A 12 anni vidi in televisione l’impiccagione del dittatore di quel paese con la consonante come ultima lettera.

A 13 anni iniziai a vedere i miei parenti litigare durante le feste comandate tra chi credeva alle parole di Berlusconi e chi invece era convinto che una crisi economica mondiale era imminente. Arrivarono in tv termini economici che neanche gli adulti capivano, mai sentiti in tutta la loro vita.
Sembrava che per una serie di sfortunati eventi miliardi di dollari e quindi euro erano andati in fumo ed in nome della stabilità economica le condizioni lavorative e le casse dello Stato dovevano subire un ridimensionamento, ma anche qui non sapevo cosa significasse.


Il governo Berlusconi crollò a causa di uno scandalo sessuale. A quanto pare più grave di tutti quelli di cui avevo sentito parlare durante i suoi tanti anni di governo.
Sentii per la prima volta la definizione “governo tecnico”. I telegiornali e i svariati programmi tv iniziarono a ripetere e sottolineare la necessità di sacrifici della popolazione civile per poter bloccare la crisi economica. Diritti sul lavoro in cambio di stabilità economica. A quanto pare non c’era cosa più importante.

A 17 anni emigrai con mia madre ed i miei fratelli prima in Svizzera poi con mio fratello in Germania, nella città dove mia madre nacque da figlia di immigrati italiani degli anni ’60. Lì ho conosciuto ragazzini e ragazzi afgani, africani e arabi che mi hanno raccontato la loro storia migratoria. La “questione migratoria” fatta diventare crisi perché le istituzioni europee non hanno voluto prendersi la responsabilità di quelle persone arrivate sulle “nostre” coste, scappati non per sfortuna, ma per scelte politiche ed economiche, prese da tutti, fallimentari. Scelte politiche ed economiche contestate nelle piazze di Genova da più di 300.000 civili da tutto il mondo circa un decennio prima di quegli sbarchi.

Dicono che i loro governi, a differenza dei nostri, non sono democratici, infatti è da quando sono bambina che sento usare questa come motivazione per far scoppiare guerre in quei paesi, riempirli di prestiti con alti interessi e vestiti di cui noi non abbiamo più bisogno.

A 25 anni ho vissuto una pandemia e visto che non abbiamo sfruttato l’occasione dell’arrivo dei migranti per mettere in dubbio politiche di sfruttamento e guerra, due anni dopo la ruota della guerra si è fermata in Europa. Ancora guerre di confine.

In quasi 30 anni di vita ne ho vissute svariate di crisi ma la mia vita da cittadina dell’Unione Europea, a parte il potere d’acquisto, non ne ha risentito poi così tanto.
È vero che hanno frodato l’economia, represso il dissenso e sparato ai migranti che cercavano riparo, ma non riusciamo a negare di vivere in un paese democratico.
C’è però una cosa che dobbiamo capire innanzitutto: qual è la differenza tra una dittatura e una democrazia?



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