Normalità
Sono nata nel 1994, qualche mese prima dell’esordio di Berlusconi in politica, numero di tessera 1816. Nata nella zona del mondo che consideriamo democratica.
Infanzia felice, cresciuta nella casa di proprietà dei miei genitori in una provincia romana dove il degrado era visibile solo agli occhi degli adulti.
Mai sentito fame, mai assistito ad episodi di violenza. A scuola avevo i miei amichetti e potevo andarci tutto l’anno, dal lunedì al venerdì.
Un’infanzia vissuta nell’amore di una famiglia del ceto medio.
La prima volta che ho visto degli adulti spaventati è stato nel settembre del secondo anno del ventunesimo secolo. Li avevo visti sempre riunirsi davanti alla televisione ma mai circondarla in piedi con quello sguardo che ancora non riuscivo ad interpretare. E quando ho cercato di attirare l’attenzione mettendo uno a fianco all’altro i miei due fratellini ed io a braccia aperte ad interpretare quello che stavamo guardando tutti in tv, per la prima volta ho visto sul viso di mia madre un’espressione che ancora non conoscevo: la paura. “Adesso no Irene, è successo qualcosa di molto grave”.
È uno dei primi ricordi che ho, come quello della metro B di Roma e quel signore con quel copricapo strano in testa e la pelle più scura della mia che tanto mi fece paura, e tanto mi lasciò interdetta anni dopo, quando mi accorsi che quel signore era un indiano sikh e che le uniche cose che aveva in comune con quella tragedia era il colore della pelle dei presunti terroristi.
Poco prima di quell’evento catalizzante ne avvenne un altro ma non ne ricordo nulla. Il massacro fisico e psicologico della popolazione civile che si era riunita a Genova per esercitare il proprio diritto al dissenso, contro chi continuava a prendere decisioni le cui conseguenze non ricadevano mai su chi, blindato e protetto, le aveva prese, ma su chi protestando veniva chiamato dalle autorità:
“Zecca, figlio di puttana, bombaroli di merda, bastardi.
Vi ammazzeremo tutti.
Bastardi comunisti è ora che impariate.
Viva il Duce, viva la polizia penitenziaria. Sei un gay o un comunista?
Senti che schifo questi froci come puzzano.
Vai pure a morire in cella.
“Chi è lo Stato?” “La polizia” “Chi è il capo?” “Mussolini”
Orina finocchio.
Che bel culo. Ti piace il manganello.
Questa è mia, questa me la porto via io, ci penso io.
Troie, dovete fare pompini a tutti. Vi facciamo il culo.
Vi portiamo fuori nel furgone e vi stupriamo.
Non uscirete da qui, bastardi comunisti.
Siete delle merde e dei parassiti.
Uno di meno, siete uno di meno.
Nessuno sa che voi siete qui. Possiamo fare di voi quello che vogliamo.
La notte è lunga e questo è solo l’inizio.”
https://www.uonna.it/g8-cronache-dal-mattatoio-di-bolzaneto.htm
“Uno a zero per noi”.
Avevo 7 anni.
L’anno dopo iniziavo ad ascoltare in modo diverso quei discorsi in tv ma ancora non riuscivo a capire tutte quelle parole dette da quegli adulti in giacca e cravatta, e da altri vestiti come le persone che vedevo tutti i giorni nella mia città.
Ero ancora troppo piccola. Per me il G8 erano le persone in piazza.
A 8 anni sapevo ormai leggere bene. La prima parola che ho scoperto finire con una consonante è stata “Iraq”. Quelle sono state anche le prime bombe che vidi in tv, in lontananza, scarne e senza significato perché agli occhi di una bambina nata in un paese democratico quelle bombe sembravano fuochi d’artificio, e i fuochi d’artificio agli occhi di una bambina scappata da quei luoghi sembrano bombe, nascosta sotto un tavolo per paura di essere di nuovo in pericolo.
A 12 anni facendo zapping in televisione mi sono imbattuta nell’impiccagione del dittatore di quel paese con la consonante come ultima lettera.
A 13 anni ho iniziato a vedere i miei parenti litigare durante le feste comandate tra chi credeva alle parole di Berlusconi e chi invece era convinto che una crisi economica mondiale era imminente. Arrivarono in tv termini economici che neanche gli adulti capivano, mai sentiti in tutta la loro vita.
Sembrava che, per una serie di sfortunati eventi, miliardi di dollari e quindi euro, erano andati in fumo e in nome della stabilità economica le condizioni lavorative, e le casse dello Stato dovevano subire un ridimensionamento, ma anche qui non sapevo cosa significasse.
Il governo Berlusconi cadde nel vortice di uno scandalo sessuale, a quanto pare più grave di tutti quelli di cui avevo sentito parlare durante i suoi tanti anni di governo. Perduta la maggioranza alla Camera dei deputati su un voto sul rendiconto generale dello Stato, quattro giorni dopo il governo diede le dimissioni.
Sentii per la prima volta la definizione “governo tecnico”. I telegiornali e i svariati programmi tv iniziarono a ripetere e sottolineare la necessità di sacrifici della popolazione civile per poter bloccare la crisi economica. Diritti sul lavoro in cambio di stabilità economica. A quanto pare non c’era cosa più importante.
A 17 anni sono emigrata con mia madre e i miei fratelli prima in Svizzera, poi in Germania con uno dei miei fratelli, nella città dove mia madre è nata da figlia di immigrati italiani degli anni ’60. Lì ho conosciuto ragazzini e ragazzi afgani, africani e arabi che mi hanno raccontato la loro storia migratoria.
La “questione migratoria”, fatta diventare crisi perché le istituzioni europee non hanno voluto prendersi la responsabilità di quelle persone arrivate sulle “nostre” coste, scappati non per sfortuna, ma per scelte politiche ed economiche fallimentari. Scelte politiche ed economiche contestate nelle piazze di Genova da più di 300.000 civili da tutto il mondo circa un decennio prima di quegli sbarchi.
Si dice che i loro governi, a differenza dei nostri, non sono democratici, infatti è da quando sono bambina che sento usare questa motivazione per far scoppiare guerre in quei paesi, per riempirli di prestiti con alti interessi e vestiti di cui noi non abbiamo più bisogno.
A 25 anni ho vissuto una pandemia e, visto che non abbiamo sfruttato l’occasione dell’arrivo dei migranti per mettere in dubbio politiche di sfruttamento e guerra, la ruota della guerra si è fermata in Europa. Ancora guerre di confine.
In quasi 30 anni di vita ho vissuto svariate crisi, ma la mia vita da cittadina dell’Unione Europea, a parte il potere d’acquisto, non ne ha risentito poi così tanto.
È vero che hanno frodato l’economia, represso il dissenso e sparato ai migranti che cercavano riparo, ma non riusciamo a negare di vivere in un paese democratico.
C’è però una cosa che dobbiamo capire innanzitutto: qual è la differenza tra una dittatura e una democrazia?
Dalla campagna alla guerra, dalla guerra alla campagna
“Sono stufo, mia carissima e preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l’impossibile: morti a destra e sinistra, morti dietro e ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che ormai ha perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare.
Basta, basta, basta! Non ne posso più, ho il cuore freddo come una pietra e le lacrime calde che parlano da sole: ho ucciso. Non credevo che sarei mai stato capace di spezzare la vita di un uomo così velocemente, senza permettere di dare ad entrambi un senso dell’orrore della guerra.
Chi non prova a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo e detta solo leggi dalla propria scrivania, dicendo di combattere sempre comunque, non sa che cosa noi abbiamo visto, udito, provato, e non potrà mai, dico mai, rendersene conto.
Solamente ora ahimè capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo sulle gambe, il respiro dell’ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che gravano sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura.
Un saluto e un abbraccio.
Alessandro”
https://www.3icgiarre.edu.it/old/soldati-italiani-prima-guerra-mondiale
L’uomo deve essere forte. Non deve vacillare mai, tanto meno mostrarlo. L’uomo deve proteggere sua moglie, i suoi figli e la patria.
È aggressivo di natura ma la ragione vince sempre sulle emozioni, a differenza delle donne. Lui è nato per lavorare e combattere. Lui deve sacrificarsi.
Per secoli questa è stata la narrazione cucita intorno all’identità degli uomini attraverso religioni, filosofie, rappresentazioni e simili, con conseguente stigma sociale se non si seguiva il modello su di lui costruito. Tutte caratteristiche molto comode alle autorità politiche, religiose ed economiche per rendere l’uomo macchina da produzione e da guerra. Tutti compiti nella quale l’empatia e le emozioni non potevano che essere un ostacolo.
Quando l’autorità chiama l’uomo deve svuotarsi della propria morale, dei propri principi umani per seguire gli interessi dello Stato e diventare uno strumento di distruzione, come nel 1914, nella prima guerra mondiale e moderna fatta di trincee e di nuove armi automatiche capaci di distruggere in poco tempo città e plotoni.
Da quella guerra alcuni imperi perirono, l’Austro-ungarico e l’Ottomano. Altri ebbero la spinta per nascere come gli Stati Uniti e il Giappone. Se invece eri un lavoratore dipendente, che il tuo Paese abbia vinto o perso, ti ritroverai a vivere in uno Stato in profonda crisi, perché la guerra la vince sempre lo Stato, mai chi lo abita.
“Nessuno tornava dal fronte com’era prima”
“Non potevamo immaginare quali effetti avrebbe avuto sulle nostre vite quell’esperienza, ma sapevamo che come minimo sarebbe stato impossibile sopravviverle senza subire qualche mutamento interiore. Ed ora marciavamo verso questa trasformazione della nostra personalità»
Ernest Parker, soldato inglese miracolosamente sopravvissuto mentre il suo battaglione fu interamente distrutto il 16 settembre 1916.
1919
Per chi non era perito in guerra e a chi la guerra non aveva lasciato uno squarcio nell’animo – gli scemi di guerra li chiamavano – quell’animo ormai traumatizzato costretto a strappare via con straziante violenza la vita di un altro uomo per non vedersi strappare via la propria, in una realtà dove o uccidi o l’autorità ti uccide, per chi era sopravvissuto a tutto questo, la vita doveva tornare quella di sempre. Come quella di quattro anni prima, quando non avevi bisogno di uccidere per vivere ma di lavorare la terra o di produrre in fabbrica. Peccato che la guerra, vinta o persa che sia, aveva fatto sprofondare gli Stati europei in una grave crisi economica. Debito pubblico alle stelle come l’inflazione, la necessità di riconvertire le fabbriche da belliche a civili e tanti soldati tornati dal fronte disoccupati e senza alcun tipo di reinserimento. Non esistono guerre senza debiti e crisi.
Le risorse dello Stato non erano abbastanza e i proprietari dei mezzi di produzione non erano disposti a dividere i compensi del lavoro. Questo voleva dire che dopo il campo di battaglia, dovevano continuare ad esser sfruttati in fabbrica e nei campi.
Iniziarono le proteste e i borghesi ad avere paura.
“Ricordiamo cos’è l’Italia del primo dopoguerra. L’Italia del ’19, ’20, ’21, un paese che in teoria ha vinto la guerra, ma solo in teoria perché in realtà non c’è più un soldo. La morale comune vede l’epoca come una in profonda crisi. Abbiamo vinto ma non ci hanno dato nemmeno quello che ci hanno chiesto. Fiume, la Dalmazia e le condizioni di vita sono misere. Milioni di uomini sono tornati a casa e adesso sono disoccupati. E gli operai parlano di fare come in Russia.
In quel momento davvero non si sa come andrà a finire. In quel momento davvero, tanti, gli industriali, gli imprenditori, la borghesia hanno paura che arrivi un Lenin e scoppi la rivoluzione. E fin dall’inizio sono decisi ad impedirlo.”
https://www.youtube.com/results?search_query=barbero+fasci+di+combattimento
“Numerosi imprenditori e soprattutto numerosi agrari si rivolgono a formazioni politiche che dispongono di forze paramilitari e tra queste vi è il Movimento dei fasci di combattimento.
Si tratta di un gruppo politico fondato nel 1919 a Milano da Benito Mussolini. Ex esponente di spicco del Psi, ex direttore dell’Avanti, nel 1914 è stato espulso dal partito per le sue posizioni interventiste, che ha continuato ad esporre sul Popolo d’Italia, il nuovo giornale da egli stesso fondato con i finanziamenti di grandi industriali, come Giovanni Agnelli, padrone della Fiat di Torino.
Mussolini, per guadagnare l’appoggio degli imprenditori, comincia ad accentuare l’antisocialismo e l’antibolscevismo. Ottiene così altri finanziamenti che gli consentono di far nascere e diffondere le squadre d’azione fasciste, gruppi agguerriti, che iniziano una lunga e sanguinosa stagione di azioni a sorpresa, aggressioni e scontri contro i socialisti, i sindacalisti, le loro sedi e i loro militanti.
https://www.tesionline.it/appunti/sociologia/l-et%C3%A0-contemporanea/706
“Con la complicità della forza pubblica, ben contenti che ci sia qualcuno che vada a bastonare i “rossi”. Non soltanto i carabinieri non intervenivano ma c’è una complicità attiva. De Vecchi (quadrumviro della marcia su Roma) testimonia che di notte le strade di Torino erano pattugliate da squadristi e agenti di polizia insieme, e che le azioni squadristiche, le decisioni sul dove e quando attaccare erano direttamente coordinate dal questore e dal commissario di polizia.”
Ottobre ‘22, marcia su Roma: il fascismo prende il potere.
1945
L’ennesima guerra era finita, milioni di uomini erano stati di nuovo costretti ad uccidere e mutilare altri milioni di uomini. I paesi europei erano ancora una volta pieni di debiti e macerie e, come tutte le guerre, anche questa aveva definitivamente delineato i poteri mondiali che oggi vediamo vacillare.
Due super potenze spiccarono dalle ceneri della seconda guerra mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. Superpotenze perché grazie al loro sviluppo tecnologico, armamenti e potenziale economico ebbero una particolare influenza in campo internazionale e un forte peso sugli eventi mondiali. Infatti, neanche il tempo di digerire la seconda grande guerra che ne fecero scoppiare un’altra su scala mondiale, durata circa 45 anni. Fredda questa volta, perché i due protagonisti non si scontrarono mai direttamente, ma usarono la cartina geografica come tavolo da Risiko e i loro “alleati” come pedine per diffondere la loro influenza.
Questa fu una guerra tra ideologie, tra modelli economici e politici, nel quale il blocco sovietico era caratterizzato da principi quali il comunismo, la pianificazione economica, l’abolizione della proprietà privata e il potere nelle mani di un unico partito, mentre il blocco statunitense dichiarava di credere nella democrazia, nel libero mercato, nelle libertà politiche e civili.
Questo era il blocco nella quale l’Italia era schierata.
That’s amore
Pagina 73 http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Bollet/40000_04.pdf
https://www.youtube.com/watch?v=ILptkfgMMwI&t=653s
1943. In Sicilia sbarcarono gli americani. Servivano appoggi sul territorio per continuare l’avanzata contro i fascisti ma i partigiani non gli bastavano: l’ufficio dei servizi strategici statunitense segnalava che i leader del partito separatista, tra le tante categorie, provenivano anche dai capi massimi e intermedi della mafia.
Il governo di occupazione, tenendo fede alle promesse, si affrettò a consegnare l’amministrazione dell’isola ai militanti del separatismo, mettendoli così in condizione di esercitare sui cittadini un potere reale e un’influenza spesso decisiva. Nacque così la terza legittimazione per la mafia, quella che derivò dalla collocazione ai vertici delle amministrazioni comunali di politici separatisti sostenuti dalla mafia e, in alcuni casi, di autentici mafiosi, come Calogero Vizzini, nominato sindaco di Villa Alba e Genco Russo, sindaco di Mussomeli. Inoltre, vennero conferiti altri incarichi pubblici: Vincenzo Di Carlo, capo della mafia di Raffadali, fu nominato responsabile dell’Ufficio per la requisizione del grano e altri cereali. Michele Navarra, un altro affiliato, fu autorizzato a raccogliere automezzi militari abbandonati dall’esercito. Il boss della mafia italo-americana, Vito Genovese, prestava invece servizio presso il quartier generale degli alleati.
Secondo gli statunitensi non esisteva un’organizzazione più antifascista della mafia. Finita quella guerra, per loro, non sarebbe esistita organizzazione più anticomunista dei fascisti, perché in Italia una Norimberga non c’è mai stata.
Nuova guerra, nuove convenienze, nuovi alleati.
Nel 1948 si tennero le prime cruciali elezioni italiane post dittatura. Tra gli attori principali della politica italiana dell’epoca, a sinistra c’era la coalizione tra socialisti e comunisti, il Fronte Democratico Popolare, a destra i conservatori del Blocco Nazionale di Einaudi, i monarchici, i nostalgici del fascismo riuniti sotto il Movimento Sociale Italiano di Almirante. Al centro, invece, la Democrazia Cristiana. È qui che la guerra fredda ha iniziato a lasciare le sue prime impronte rivelate qualche decennio dopo da alcuni documenti desecretati della CIA. L’obiettivo era quello di frenare le sinistre italiane a favore della Democrazia Cristiana. – memorandum della CIA al Comitato dei Quaranta (Consiglio di Sicurezza Nazionale), presentato al Comitato ristretto sull’intelligence della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (il Comitato Pike) durante le audizioni a porte chiuse tenutesi nel 1975. La maggior parte del rapporto della commissione che conteneva il memorandum fu divulgata alla stampa nel febbraio 1976 e apparve per la prima volta in forma di libro con il titolo CIA -The Pike Report (Nottingham, Inghilterra, 1977). Il memorandum appare alle pp. 204-5 di questo libro. –
La CIA ordinò all’agente segreto Mark Wyatt di dirigere l’operazione: “Ero profondamente preoccupato e mi ha fatto piacere sentire George Kennan (un diplomatico ndr.) dire <<Queste elezioni si avvicinano e se i comunisti riusciranno a formare un governo, se vinceranno, la nostra intera posizione nel Mediterraneo, e probabilmente in Europa, sarà minata>> E sono stato felice di vedere che si è prestata attenzione a questo tema”
https://web.archive.org/web/20010831150516/http:/www.cnn.com/SPECIALS/cold.war/episodes/03/interviews/wyatt/
“Avevamo sacchi di denaro che consegnavamo a politici selezionati, per coprire le loro spese politiche, le loro spese per la campagna elettorale, per manifesti, per opuscoli”.
https://www.nytimes.com/2006/07/06/us/06wyatt.html
La CIA pubblicò anche lettere false per screditare i capi del Partito Comunista Italiano ed iniziò la campagna “Letter to Italy” che consisteva nel pagare gli immigrati italiani sul suolo statunitense per spedire lettere ai propri parenti rimasti in Italia. Dieci milioni di lettere furono spedite per esortare i propri cari a votare DC e avvertirli che sostenere la sinistra corrisponderebbe a una maledizione di Dio.
https://thevision.com/cultura/cia-elezioni-1948/
https://scholarlypublishingcollective.org/uip/chr/article-abstract/60/1/63/283547/The-1948-Letters-to-Italy-Campaign-International?redirectedFrom=fulltext
In caso di vittoria dei comunisti alle elezioni, la CIA prevedeva di impedire loro l’accesso al potere tramite la falsificazione dei risultati elettorali o con la forza.
https://web.archive.org/web/20190221112044/https://www.cia.gov/library/readingroom/document/cia-rdp78-01617a003100010001-5
“Il nostro referente ovviamente era Alcide De Gasperi. Mi ha detto che non dovevamo sostenere solo il suo partito, un partito clericale vicino al Vaticano, ma anche i socialdemocratici, i repubblicani e il partito liberale” Mark Wyatt
https://thevision.com/cultura/cia-elezioni-1948/
Non si parlava più di ricostruire l’Italia o dei temi ricorrenti d’interesse nazionale ma il dibattito si era ridotto alla lotta “del bene contro il male”, “per la democrazia e la libertà contro la dittatura e l’oppressione”, mentre i preti rombavano: “C’è un uomo, qui in Italia, che si erge a campione degli interessi nazionali, ma è un cittadino russo. Si è schierato con la Russia dei senza Dio. Costui si chiama Togliatti. Va’ fuori dall’Italia, straniero!” o ancora: “Con Cristo o contro Cristo!”
La democrazia cristiana vinse con il 48,5% dei voti e conquistò la maggioranza assoluta in parlamento a livello di seggi e la maggioranza relativa dei voti, caso unico della storia della Repubblica. Il Fronte Democratico Popolare ottenne il 31%.
Dopo quelle elezioni la DC fu protagonista indiscussa (o quasi) dell’intera prima repubblica.
Mark Wyatt, l’agente segreto che si era dedicato clandestinamente alla campagna elettorale della DC del ‘48, nel documentario “L’Orchestre Noir” di Fabrizio Calvi e Frédéric Laurent dichiara:
“Ero stato assegnato come vice capo stazione a Roma. Ero responsabile di tutti i collegamenti con i servizi italiani e il SIFAR (Servizio informazioni forze armate) all’epoca gestiva l’intera operazione Gladio. La base era in Sardegna e all’interno di Gladio avevano accettato i nostri uomini come loro aiutanti per lavorare e vivere con loro.
Pochissimi ufficiali dell’intelligence americana assegnati a Roma sapevano che c’era un’operazione stay behind suggerita dagli americani ed accettata dagli italiani.
Non solo in Italia ma, come ho già detto, anche negli altri paesi erano estremamente timorosi a riguardo, non ne potevano nemmeno parlare.
L’uomo chiave era il capo del SIFAR ma anche i Carabinieri perché la maggior parte degli adepti di Gladio erano carabinieri o ex carabinieri che potevano affrontare un’operazione di tipo stay behind.”
Mark Wyatt era il numero due della CIA a Roma, era lui che controllava i “gladiatori” e li riforniva di armi, soldi e d’istruzioni.
Luigi Tagliamonte, capo dell’ufficio amministrazione del SIFAR e, successivamente, capo dell’ufficio programmazione e bilancio del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, durante una delle varie inchieste relativa ad una base di addestramento di Gladio dichiarò:
“Sapevo che presso il Cag (il Centro addestramento guastatori di Punta Poglina vicino a Capo Marrargiu, Alghero) si effettuavano dei corsi di addestramento alla guerriglia, al sabotaggio, all’uso degli esplosivi al fine di impiegare le persone addestrate in caso di sovvertimenti di piazza, in caso che il PCI avesse preso il potere”.
Non a caso, l’unico esponente della DC che cercò di formare un governo con il PCI, Aldo Moro, per il bene della stabilità del governo, non fece una bella fine. Qualche anno prima, ai margini di un summit internazionale negli Stati Uniti, siamo nel 1974, Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, in un incontro con Aldo Moro, all’epoca Ministro degli Esteri, avrebbe pronunciato la seguente frase: “Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Dopo 55 di prigionia il cadavere di Moro fu ritrovato dentro un portabagagli.
https://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/237-vedi/89502-delitto-moro-quel-potere-occulto-che-voleva-fermare-il-cambiamento-in-italia.html
La presenza di una struttura stay-behind in Italia risale al 1949, seppure con un nome diverso da Gladio. In una relazione del Comitato Parlamentare sui servizi segreti del 1995 si legge che:
“In base a quanto risulta dalle indagini giudiziarie è fuori dubbio che in epoca precedente alla creazione di Gladio sia esistita un’altra organizzazione denominata “Duca”, con le stesse finalità e struttura analoga, di cui sappiamo ben poco e che dovrebbe essere stata sciolta intorno al gennaio 1995 (ma in vari documenti acquisiti dall’Autorità giudiziaria si parla di organizzazione “Duca – Gladio”)”.
Gladio viene costituita con un protocollo d’intesa tra il Servizio italiano e quello statunitense in data 26 novembre 1956, nel quale però vi era stato un esplicito riferimento ad accordi preesistenti: nella relazione inviata dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi il 17 ottobre 1990 verrà segnalato che con quella intesa tra SIFAR (al cui comando, al tempo della stesura del protocollo, era da poco stato posto Giovanni De Lorenzo) e CIA erano stati confermati tutti i precedenti impegni intervenuti nella materia tra Italia e Stati Uniti.
http://www.lalottacontinua.it/24-ottobre-1990-andreotti-ammette-lesistenza-di-gladio-3/
“Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà… Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.”
Aldo Moro, 28.2.1978, ultimo discorso ai gruppi parlamentari.
Minimo 962 nomi
“In una mattina di quarant’anni fa esatti, 17 marzo 1981, a Castiglion Fibocchi, comune in provincia di Arezzo, negli uffici dell’allora sessantaduenne Licio Gelli, imprenditore con un passato da ex volontario franchista nella guerra di Spagna e quindi repubblichino di Salò, uomo legato all’Internazionale nera e ai regimi militari sudamericani, vengono scoperti dalla magistratura di Milano gli elenchi della loggia massonica segreta P2. Si tratta di 962 nomi che disegnano la geografia di un potere occulto incistato nel cuore delle istituzioni. Un network di potere che ha come suo programma quello di torcere, fino a modificarne forma e sostanza, l’architettura repubblicana figlia della Costituzione del 1948 e che tiene insieme uomini di vertice degli apparati di sicurezza, della classe politica, dell’establishment finanziario e dell’informazione, della magistratura e dell’avvocatura.
È lo scandalo più grave della storia della Repubblica, destinato a segnarne il corso. Non fosse altro perché a quelle della loggia P2 s’intrecciano, in quel decisivo passaggio della storia del nostro Paese, mille vicende oscure: dalla stagione delle stragi (nel 2020, Gelli verrà indicato come uno dei mandanti dell’eccidio di quella di Bologna) al sequestro e omicidio di Aldo Moro.
Licio Gelli, dopo periodi di detenzione in Svizzera e in Francia, ha continuato per oltre trent’anni a vivere a Villa Wanda, la sua residenza in provincia di Arezzo, dove si è spento il 15 dicembre del 2015. La sua storia e quella della P2, dei suoi 962 iscritti, non hanno mai smesso di fare da quinta al contesto della cosiddetta prima e seconda Repubblica. Il sistema di relazioni e la rete di ricatti scoperti in quel marzo 1981 hanno continuato a pesare nella vita pubblica del Paese, consegnandoci un’eredità tossica.
[da “C’era una volta la P2” di Benedetta Tobagi, La Repubblica].
Lo stesso Licio Gelli spiega in un’intervista del 2008 in che cosa consisteva “Il Piano di rinascita democratica” della loggia massonica Propaganda 2 (P2): “Era un piano per ripristinare un po’ “d’ordine” e per cambiare certe questioni che non funzionano come la magistratura, perché il PM e il GIP dovrebbero arrivare da due concorsi diversi, dovrebbero odiarsi tra loro se il cittadino vuole la giustizia.
Era un piano che prevedeva ordine, soprattutto ordine, e avrebbe cambiato anche il modo… della Repubblica parlamentare con Repubblica presidenziale perché oggi non c’è nessuno responsabile. Li vedo in televisione quando gli pongono dei quesiti all’attuale Presidente del senato e deve rispondere <<questa non è questione che riguarda me ma la Camera>>…No! Deve riguardare lui, lui è il capo di tutti e lui è il responsabile di tutti. Lui si deve assumere le sue responsabilità. […] Quello che chiedevamo noi era più disciplina”.
Tutti argomenti e proposte politiche che abbiamo ascoltato negli ultimi anni, anche se della P2 non si è mai sentito parlare. Guarda caso, il Presidente del Consiglio più longevo dopo Andreotti, che è riuscito a plasmare la mentalità italiana degli ultimi venti anni – proprietario di televisioni e mezzi di comunicazioni – è stato Silvio Berlusconi. Numero di tessera 1816, trovato nelle liste della P2 e insignito con cerimonia.
E nella stessa intervista Gelli continua: “Le stragi ci sono state e sempre ci saranno perché non c’è ordine. Nei primi tempi le stragi non ci sono state, sono venute dopo il ‘60. E perché parlo del ‘60? Perché c’era ancora una certa condizione, il popolo era appena uscito da una dittatura, il fascismo, chiamatela anche dittatura del fascismo, però aveva abituato la gente a lavorare. Dovevano andare a lavorare se no sarebbero stati puniti, non avrebbero nemmeno dovuto scioperare perché con lo sciopero non si produce, lo sciopero impoverisce perché la politica dei sindacati è quella di impoverire colui che paga lo stipendio oppure sabotare il lavoro […] si permetteva anche di occupare la fabbrica.”
https://youtu.be/lf6G3Nv2TAo?si=lSIOQObZyrdI0t0E
https://tg24.sky.it/cronaca/2008/11/01/Torna_Licio_Gelli_lex-venerabile_maestro_in_Tv
https://lists.peacelink.it/pace/2008/10/msg00134.html
Tina Anselmi, presidente della commissione d’inchiesta sulla P2, la descrisse come una loggia a doppia piramide. Una era la base solida, quella degli iscritti alla P2 negli elenchi trovati a Castiglion Fibocchi. Licio Gelli, custode e notaio di quel sistema, occupa il vertice della piramide sottostante: “Questa prima piramide è sovrastata da una seconda piramide capovolta, che vede il suo vertice inferiore pure collocato sulla figura di Gelli. Egli è infatti il punto di collegamento tra le forze, i personaggi e i gruppi che, nella piramide superiore, stabiliscono e perseguono le finalità ultime e ne stabiliscono le strategie.
http://www.giannibarbacetto.it/2021/03/18/cosi-ho-scoperto-la-p2-club-segreto-del-potere-parallelo/
https://www.lastampa.it/politica/2015/12/17/news/ma-i-vertici-della-p2-sono-rimasti-nascosti-1.35200767/
Questo incarico costò a Tina Anselmi insulti e delegittimazione, nonché un crescente isolamento politico negli anni successivi, anche da parte del suo stesso partito (la DC) Marcella Filippa, Tina Anselmi : la donna della democrazia, 2019
Carlo Azeglio Ciampi, in un’intervista rilasciata dopo la fine del suo mandato (2006) da presidente della Repubblica, dichiarò: “In Italia non si è mai data sufficiente importanza a cosa è stata la P2. […] La stagione della P2 non è mai finita, ha continuato ad agire sotto traccia, continuando a inquinare le istituzioni italiane. Il fatto di non aver estirpato fino in fondo questo cancro è un grande cruccio.”
https://www.google .it/amp/s/
Chi vinse poi la guerra fredda lo sappiamo tutti. Ma sorge un dubbio.
Può essere questa definita democrazia?
Bergamo, 2001
“Per me Genova è iniziata un lunedì sera in cui ero in giro con due amici e avevamo fatto delle scritte sui muri, siamo stati fermati da una volante, da un poliziotto che ha deciso di attaccarci e di iniziare a picchiare. Quando lui ha chiamato i rinforzi sono arrivate altre quattro volanti. Io vado incontro a questi agenti dicendo <<guardate che il vostro collega sta impazzendo, ci sta picchiando non ha senso questa cosa qua, non c’è nessun motivo>> e abbastanza naturalmente, molto rapidamente, vengo atterrato da una manganellata in testa, ammanettato e arrestato, io e gli altri due ragazzi. Non avevamo fatto nulla e lo posso dire perché anni dopo siamo stati assolti perché il fatto non sussiste.
Tutto scatta da una perquisizione che voleva fare il poliziotto. Noi chiediamo la presenza di un avvocato essendo un diritto costituzionale e a quel punto lui è scattato dicendo che dovevamo avere rispetto di quella divisa, che siamo delle merde.
Perché succede questa cosa qua a Bergamo, in pieno centro, davanti al Comune? Succede perché da mesi c’era una tensione altissima.”
https://www.youtube.com/live/FxcTC2wSMIo?si=1di9BJxasncGsojE
Democrazia assoluta
Negli anni ‘90 il modello economico e politico portato avanti dagli Stati Uniti era rimasto l’unico egemone nel mondo, intrinseco all’ipocrisia perchè da una parte pretendeva e pretende di essere l’esponente massimo ed unico dei diritti democratici, politici, civili e di concetti complessi (ma molto “funzionali”) come la libertà e la pace. Dall’altra pretendeva e pretende di basarsi su un’economia che necessita lo sfruttamento incontrollato di risorse naturali e umane visto che mette al centro il capitale e la libertà di mercato.
In un sistema economico dove gli interessi economici non coincidono con quelli delle persone, la libertà di uno è la gabbia dell’altro.
A livello istituzionale il neoliberismo, dopo la fine della guerra fredda, non aveva più rivali, tranne nella società civile:
“Per affrontare il nuovo potere dei vertici di stati e organizzazioni intergovernative, i movimenti sociali e le organizzazioni della società civile danno vita ai vertici paralleli che affrontano gli stessi problemi di quelli ufficiali con una prospettiva critica verso i governi e le politiche delle multinazionali, producono analisi e mobilitazione politica, formulano proposte alternative. Le prime iniziative di questo tipo si svolgono in scala ridotta, ma a partire dalla fine degli anni ’80 si assiste ad un importante cambiamento:
Settembre 1988, Berlino: esponenti di spicco della finanza e delle istituzioni economiche nazionali e internazionali si incontrano per il meeting del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) più importante dai tempi di Bretton Woods (1944). Il quadro è quello di un neoliberismo ormai affermato in molti contesti nazionali e delle nascenti tensioni sociali a livello globale provocate dalle politiche di indebitamento, liberalizzazione e privatizzazione sollecitate dal Fmi e dalla Bm. La risposta a queste tensioni è la nascita di una vasta coalizione di gruppi di attivisti e organizzazioni della società civile che sperimentano, a fianco di pratiche tradizionali, forme di azione innovative. Alle conferenze alternative e alle dimostrazioni di piazza partecipano 80.000 manifestanti. Questo è un momento di svolta; negli anni seguenti si moltiplicano gli appuntamenti e il movimento si allarga:
1990, New York: organizzazioni non governative del Sud e del Nord contestano il vertice di Bm e Fmi, avviando una cooperazione che caratterizzerà, con vari gradi d’intensità, i successivi controvertici.
1990, Bruxelles: migliaia di agricoltori europei, nordamericani, latinoamericani, africani e asiatici protestano contro le politiche agricole delle organizzazioni internazionali governative. Nella prima metà degli anni ’90 si sviluppano vertici paralleli in occasione degli incontri tematici organizzati dalle Nazioni Unite per tracciare l’agenda del XXI secolo su questioni di rilevanza globale.
Giugno 1992, Rio de Janeiro: il vertice parallelo al Summit della Terra si configura come un forum delle Ong senza precedenti per dimensioni, per risonanza mediatica e per l’emergere di una società civile globale capace di costruire reti e sviluppare strategie comuni.
Giugno 1993, Vienna: alla conferenza sui Diritti umani partecipano migliaia di attivisti.
Settembre 1994, Il Cairo: alla conferenza su popolazione e sviluppo si creano nuovi legami tra organismi di base.
Settembre 1994, Madrid: viene contestato il 50° anniversario di Bm e Fmi.
Marzo 1995, Copenaghen: al vertice delle Nazioni Unite sullo Sviluppo sociale, i forum delle Ong vengono integrati nel programma.
Settembre 1995, Pechino: lo stesso succede alla IV Conferenza mondiale delle donne, dove i documenti finali sono influenzati dalle elaborazioni delle Ong.
Giugno 1996, Lione: manifestazione contro il G7.
Settembre 1997, Hong Kong: controvertice durante gli incontri di Bm e Fmi.
Febbraio 1997, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.
Giugno 1997, Denver: manifestazione contro il G7.
Giugno 1997, Amsterdam: manifestazioni contro il vertice Ue.
Maggio 1998, Birmingham: manifestazione contro il G8.
Giugno 1999, Colonia: manifestazione contro il G8.
Novembre-dicembre 1999, Seattle: la contestazione del vertice Wto ne impedisce la realizzazione.
Gennaio 2000, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.
Aprile 2000, Washington: controvertice in occasione dell’incontro di Bm e Fmi.
Giugno 2000, Ginevra: controvertice in occasione dell’incontro dell’Onu sulla povertà.
Settembre 2000, Praga: controvertice in occasione del nuovo incontro di Bm e Fmi.
Dicembre 2000, Nizza: controvertice in occasione della riunione del Consiglio europeo.
Febbraio 2001, Davos: controvertice in occasione del World economic forum.
Questa pluralità di movimenti inizia ad avere risultati, riesce a far sospendere le riunioni delle grandi organizzazioni internazionali e a far sentire la propria voce.
Come dovrebbe esser sottinteso in una realtà democratica, questi movimenti chiedevano rappresentanza. Chiedevano che chi scriveva le regole prendesse in considerazione le ragioni di chi subiva le loro decisioni.
I vertici della politica e dell’economia, tuttavia, continuavano ad avere altri obiettivi. Le azioni delle autorità diviene sempre più violenta. Alle manifestazioni a Göteborg, durante il vertice del Consiglio europeo nel giugno del 2001, un ragazzo di 19 anni resta gravemente ferito dai colpi di pistola di un poliziotto. Il timore di analoghi scontri induce la Banca mondiale ad annullare la riunione prevista a Barcellona dal 25 al 27 giugno.
Napoli, 17 Marzo 2001. Contestazione contro il Global Forum sull’e-government
Il Global Forum, sotto la guida dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) si riunì a Napoli per discutere della diffusione di internet nei paesi sottosviluppati. Un incontro finanziato dalle multinazionali dell’I-Tech. In 30.000 arrivarono per protestare contro le loro decisioni.
A dimostrazione di quanto gli esponenti della politica e dell’economia fossero interessati alle istanze della società civile, in occasione dei vertici internazionali si usava costruire una zona rossa nella quale politici ed esponenti delle multinazionali si rinchiudevano per prendere decisioni su milioni, se non miliardi, di persone senza alcun consenso popolare.
Per rivendicare il diritto di manifestare fin sotto i palazzi del potere era ampiamente praticata la violazione della zona rossa visto che si manifesta con lo scopo far sentire la propria voce.
Al governo c’era il centro-sinistra. Il Presidente del Consiglio era Giuliano Amato, succeduto a Massimo D’Alema che si era dimesso dopo aver perso le regionali del 2000. Prima di D’Alema aveva governato Romano Prodi, caduto nell’ottobre ’98.
L’allora Ministro dell’Interno era Enzo Bianco che si complimentò con la polizia dopo i fatti di Napoli.
“Ho pensato che il modo migliore di raccontare quanto accaduto fosse riportare le testimonianze di chi era presente, estrapolate dal libro bianco edito da Derive Approdi.
Dai dati raccolti emerge un quadro sistemico e con esso l’intenzione dei vertici della Questura di dare una risposta “memorabile” alla più grande manifestazione auto-organizzata che Napoli abbia vissuto da circa vent’anni a questa parte.
La sensazione che emerge, da un’attenta lettura di queste pagine, è quella di una repressione tanto più feroce in quanto non indirizzata verso singole persone o limitata ad atteggiamenti eccessivi di singoli “Tutori dell’ordine pubblico”.
Emerge chiaramente la volontà dei corpi armati dello Stato italiano di trasformare Piazza Municipio in una gabbia da cui fosse impossibile uscire. Le descrizioni rilasciate evidenziano l’accuratezza con cui il coordinamento delle “Forze dell’ordine” ha evitato di lasciare una qualsivoglia via di fuga per coloro che erano stati rinchiusi nella “Gabbia” Municipio.
Dalle dichiarazioni emerge come le “Forze dell’ordine” abbiano caricato i manifestanti da ogni punto della “Gabbia” Municipio: da via Leoncavallo, da via Verdi, da via Medina, da via De Pretis, dalle strade che portano verso il molo Beverello.
Viene più volte evidenziato come gruppi di manifestanti siano stati spinti verso punti insicuri della “Gabbia”, a ridosso del fossato del Maschio Angioino, ad esempio, ammassati e “protetti” da una ringhiera troppo instabile e troppo bassa per fare da argine verso il vuoto.
E’ stata riscontrata la fermezza delle “Forze dell’ordine” nell’impedire agli operatori sanitari del 118 di svolgere il loro lavoro di pronto intervento e di trasporto di persone, gravemente ferite, verso gli ospedali.
Ma le testimonianze vanno anche molto oltre quello che è accaduto nella “Gabbia” allestita temporaneamente in occasione della repressione di una grande manifestazione democratica.
Si evince la crudeltà di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza all’interno degli ospedali e le pressioni portate nei confronti del personale medico e paramedico al fine di rendere meno tempestive le cure ai feriti. Vengono rese pubbliche le violenze fisiche e psicologiche subite dai fermati all’interno dei drappelli di polizia allestiti negli ospedali, delle caserme e dei commissariati.”
http://www.reti-invisibili.net/napoli17marzo01/
“Le forze dell’ordine non si accontentarono di caricare i manifestanti al corteo, dato l altro numero di feriti molti compagni vennero portati in un ospedale del centro storico (Ospedale dei pellegrini) e anche lì fuori proseguirono le brutalità della polizia che voleva entrare all’interno dell’ospedale per poter arrestare i manifestanti e portarli in caserma. Medici e infermieri impedirono l’ingresso delle forze dell’ordine nell’ospedale, una cosa che vidi anche a Genova mesi dopo. Ma in qualche modo alcuni manifestanti vennero condotti all’interno della caserma Raniero della polizia di Stato e Pastrengo dei Carabinieri. I manifestanti posti in fermo, ancora feriti dalle manganellate, con volti tumefatti e ferite aperte, in stato confusionale, in stato di agitazione, all’interno di queste caserme subirono ulteriori pestaggi e violenze. Le donne si cercò anche di stuprarle, raccontato dalle compagne durante il processo istituito contro le forze dell’ordine per quei fatti. Ci sono racconti dove le autorità si divertivano a far fare ai manifestanti delle flessioni nei bagni, altri che raccontano di essere stati costretti a cantare “faccetta nera” o altri inni fascisti e altri che subirono umiliazioni e maltrattamenti. Questo senza poter contattare né i propri familiari, né gli avvocati.”
Queste le principali accuse: sequestro di persona, abuso di atti di ufficio, violenza privata, danneggiamenti, lesioni personali aggravate e perquisizione arbitraria. Nessuno fu condannato.
Se fosse stato per i media mainstream
Le manifestazioni di Genova del luglio 2001 rappresentarono l’inizio del “citizen journalism“, la creazione di notizie da parte dei cittadini, che entrò di prepotenza nelle redazioni istituzionalizzate, nei grandi computer dei deskisti dei maggiori quotidiani italiani, portando testimonianza senza filtri della repressione violenta delle autorità contro chi stava dimostrando il proprio dissenso.
Perché allora tanti dimostranti, quando tornarono a casa dalle manifestazioni e raccontarono ad amici e parenti della violenza della polizia, fecero fatica a farsi credere?
Perché ci fu un processo di delegittimazione dei movimenti che proponevano un’alternativa a questo sistema economico. Processo di delegittimazione da parte della politica, delle autorità, dei media e degli attori economici, per questo gran parte delle persone che rimase a casa a guardare i movimenti combattere anche per loro, credette alla versione delle autorità.
Nelle ore e nei giorni immediatamente seguenti all’omicidio di Carlo Giuliani e all’irruzione nella Diaz, tv e giornali erano concentrati sulla spettacolarizzazione degli scontri, bonari con i Grandi e inchiodati su un equilibrio che li obbligava a stigmatizzare sempre e comunque le “carenze di un movimento”.
Un tipo di narrazione che non spiega mai cosa succede realmente e in cui domina la condanna «della violenza, da qualunque parte provenga», dimenticando che una delle due parti in causa è lo Stato.
https://vdnews.tv/article/come-g8-genova-cambiato-per-sempre-media-forze-ordine-manifestanti
I primissimi a fare disinformazione furono i servizi segreti. La Repubblica definiva le veline del Sisde “la soglia più alta di brivido”, aggiungendo che chi aveva letto l’informativa s’era messo le mani nei capelli. Uno dei più autorevoli richiami al senso della realtà veniva – curiosamente – dal Vice Capo Vicario della Ps, Ansoino Andreassi, secondo cui l’eccesso di enfasi rischiava di avere “solo effetti negativi, sia sul nostro personale che sui malintenzionati”.
La minaccia che gravava sul G8 era impressionante: un centinaio di fionde per lanciare biglie di vetro e bulloni (Tute bianche), tubi di ferro come rampa per fumogeni e bombe carta (autonomi), pitbull da aizzare contro gli agenti (squatters e punkabbestia), clonazioni di siti web per diramare «notizie modificate» (Freaknet di Catania), buste con sangue di maiale infetto (contestatori in arrivo dalla Germania), attacchi vari con alianti, parapendii, piccole imbarcazioni e kayak e infine l’invio simultaneo di sms con istruzioni ai manifestanti.
A cose fatte, il comandante dei reparti militari schierati a Genova, ammiraglio Bettini, disse che i suoi uomini avevano protetto il G8 da aeroplanini radiocomandati, deltaplani e guerriglieri subacquei. Magari l’ammiraglio avrà creduto a tali minacce perché le aveva lette in un dossier, ma i comuni mortali erano piuttosto scettici su quelle fantasiose mascalzonate»
https://www.limesonline.com/rivista/limoni-e-sangue-a-che-servivano-gli-scontri-di-genova-14577966/
In poche parole, con questi dossier, i manifestanti diventano dei facinorosi in cerca dello scontro fine a sé stesso, persone dalla natura violenta e pericolosa mentre le autorità dovevano prepararsi a ogni evenienza . Non a caso, Gianfranco Fini – di tradizione fascista, Vice presidente del consiglio dei ministri dell’allora governo Berlusconi, ex tessera 1816- per tutto il G8 si aggira nelle caserme, assicurando il totale appoggio del governo a interventi repressivi anche brutali; cui fa da controcanto il Ministro degli Interni Claudio Scajola, il quale ammetterà di aver dato l’ordine di sparare qualora i manifestanti avessero violato la zona rossa.
https://www.micromega-dev-net.mitigo.it/prima-della-mattanza-gli-avvenimenti-che-precedettero-il-g8-genovese-del-2001/
Le immagini che possiamo vedere ancora oggi, riportate soprattutto da chi stava esercitando il proprio diritto al dissenso, dimostrano che le autorità misero i manifestanti in condizione di dover lottare per la propria sopravvivenza. Come nelle dittature quando si manifesta contro il governo, in occidente quando si manifesta contro il sistema economico:
Camionette lanciate contro i manifestanti
Accanimento di più poliziotti contro chiunque si trovasse sulla loro traiettoria
con manganelli fuori ordinanza
Cariche illegittime
Violenze durante i fermi
Poliziotti che festeggiano i colpi e le ferite inflitte ai manifestanti (min. 3:02)
min. 1:18:14 https://www.youtube.com/watch?v=cWBnAxjeIRU&t=398s
20 Proiettili sparati di cui uno colpisce ed uccide Carlo Giuliani, sparato in faccia e investito dal defender nella quale è partito il colpo, come testimonia la telefonata del tenente colonnello Truglio con la centrale dei carabinieri. Dal min. 47:45
E bugie, tante e sporche.
Come conclusione della strategia di repressione contro i manifestanti, i vertici delle divise ordinarono l’irruzione dei Reparti mobili della Polizia di Stato, con il supporto operativo di alcuni battaglioni dei Carabinieri, nel complesso scolastico Diaz-Pertini e Pascoli, in quell’occasione adibito a centro stampa del coordinamento del Genoa Social Forum, luogo di soggiorno e pernottamento dei partecipanti alle manifestazioni organizzate sotto l’egida del Forum, a sede di strutture di primo soccorso e di supporto, anche legale, per organizzatori e partecipanti.
La perquisizione si conclude con 93 arresti e 82 feriti, di cui tre in prognosi riservata e un giornalista in coma. Degli 82 feriti, 63 vengono condotti in ospedale. I rimanenti 19, anche se feriti, vengono portati direttamente nella caserma di Bolzaneto. Parte dei ricoverati vengono prelevati nella notte e portati nella stessa caserma nella quale sono stati torturati per tre giorni senza aver alcun contatto con avvocati, parenti e il mondo esterno.
Per l’omicidio di Carlo Giuliani non c’è mai stato un processo. 10 manifestanti sono stati condannati per un totale di 100 anni di carcere, mentre nel 2019 lo Stato ha richiesto l’estradizione di un manifestante che si era rifatto una vita in Francia.
Chi era ai vertici delle armi durante questa strategia di repressione?
Il Capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, era Gianni De Gennaro, dal 2013 al 2020 Presidente di Leonardo SpA, prima azienda italiana di armamenti. Dopo il fallimento gestionale di Genova continua a ricoprire il ruolo con diversi governi; fu nominato Sottosegretario di Stato con delega alla sicurezza della Repubblica nel governo Monti.
Arnaldo La Barbera, poliziotto, in qualità di capo della Direzione centrale della Polizia di prevenzione (ex Ucigos) viene mandato a Genova dall’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. Ha il compito di riportare l’ordine pubblico.
La Barbera è stato capo della squadra mobile di Venezia dalla fine degli anni Settanta, impegnato anche in indagini antiterrorismo. È stato al centro delle vicende che hanno riguardato il depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio, dove nel 1992 fu ucciso il Magistrato Paolo Borsellino, poco dopo il suo collega Giovanni Falcone. Entrambi stavano indagando su Gladio.
Fra il settembre 1990 e il dicembre 1992 il dirigente della squadra mobile di Palermo e capo del gruppo investigativo sulle stragi di mafia versò in banca quasi 115 milioni di lire in contanti.
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/306-giustizia/98338
https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/verona/cronaca/24_marzo_09/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/05/22/
https://livesicilia.it/stragi-mafia-borsellino-la-barbera-depistaggio/
Gilberto Caldarozzi, ex responsabile della Sezione criminalità organizzata della Polizia, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi è stato vittima dei pestaggi perpetrati dagli agenti ala scuola Diaz. Nel 2017 diventa numero due della Dia, la Direzione investigativa antimafia.
Francesco Gratteri, Capo dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia, che coordinava il lavoro delle Squadre Mobili locali. Promosso anche lui.
Gilberto Caldarozzi, vice direttore dello Sco. Dopo i fatti di Genova viene promosso fino alla sentenza definitiva direttore dello Sco. Diventa consulente per la sicurezza di Finmeccanica con De Gennaro presidente.
https://www.teatronazionalegenova.it/wp-content/uploads/2018/05/Pdf-unico.pdf
Volevo concludere con delle riflessioni ma sinceramente gli eventi hanno già parlato abbastanza. Al di fuori della versione alla quale si vuole credere, c’è solo una domanda che voglio ancora porre. Ad oggi, in quanti di noi riescono ancora ad immaginare un modello alternativo a quello neoliberista?
Questa non chiamatela democrazia.
2011, manifestazione degli Indignados contro le politiche della BCE, del FMI e dei governi nazionali
“Stavamo in una via non molto lontana da san giovanni dove ci fu il grosso degli scontri, stavamo andando verso la metro per tornare a casa quando ci trovammo un cordolo di poliziotti che veniva verso di noi al che ci voltammo per andare da un’altra parte con passo tranquillo ma ce n’era un altro dietro quindi ci siamo fermati pensando che si sarebbero allontanati senza coinvolgerci e invece hanno fermato tutte le persone in quella via e sono andati di perquisizione, manganellate sulle mani e arresto diretto; ci portarono al viminale e dopo un po’ di attesa ci hanno detto che andavamo a regina coeli e lunedi processo per direttissima. Comunque cominciarono a chiamarci uno alla volta dentro una stanza, cominciarono un’altra perquisizione e un controllo allo zaino di cui nel mentre mi prendevano a cazzotti sui reni e mi minacciavano che mi avrebbero ammazzato come Cucchi se avessero trovato armi o oggetti incriminanti nello zaino . Dopo alcune ore ci portarono a regina coeli dove restammo per una mesata, al processo di primo grado però si presentò una signora che riprendendo gli scontri dal balcone aveva ripreso noi per caso che stavamo fumando sotto casa e riprese il momento dell’arresto dove stavamo fermi mentre i poliziotti nel verbale d’arresto dissero che stavamo reagendo in maniera violenta ma nonostante il video la giudice disse che il video non valeva come prova e che valeva di più la parola dei poliziotti (Il video era una volta presente su Youtube. Da almeno due anni il video non si trova più ndr), sempre al primo grado l’accusa presentò un manico di piccone e ci voleva dare concorso ma per fortuna quelli della scientifica toccarono la prova a mani nude e non si poté più usare come prova; in soldoni dopo un anno di domiciliari dove nei primi sei mesi non potevo avere nessun contatto con gli amici e mi negarono anche il permesso di lavorare all’officina di mio padre che stava a 30m da casa, all’appello ci diedero la pena sospesa di 5 anni e via, cornuti e mazziati”