L’attenzione è l’insieme di quei meccanismi cognitivi che ci permettono di selezionare e filtrare gli stimoli che ci arrivano dal mondo esterno, per poi elaborare le informazioni e fornire agli altri e a noi stessi una risposta adeguata. È una funzione cognitiva fondamentale ai fini della sopravvivenza in quanto consente di organizzare le informazioni provenienti dall’esterno e di regolare di conseguenza i processi mentali necessari all’esecuzione di tutte le attività e le scelte quotidiane.
Esistono vari tipi di attenzione, una tra queste è “l’attenzione selettiva”. Si occupa di decidere quali informazioni sono importanti e quali meno.
La nostra mente percepisce il mondo esterno attraverso gli stimoli che le arrivano dai sensi ed è portata a semplificare l’enorme mole di informazioni che riceve per evitare di sovraccaricarsi.
Una cosa evidente e con uno sviluppo rapido e tangibile è facilmente riconoscibile, tutto il resto lo ignoriamo, importante o no che sia. Difatti, presi naturalmente dalle nostre vite, non ci siamo accorti di essere entrati in una nuova era geologica: l’Antropocene. Dal greco antropos, cioè umano, perché definisce l’epoca geologica nella quale l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana”.
Da cosa possiamo accorgercene? Basta prendere in considerazione alcuni parametri come la deforestazione, la cattura incontrollata di pesci, la concentrazione di Co2 o metano nell’atmosfera, le estinzioni delle specie ed osservare la loro curva. Tutte iniziano a salire a picco dagli anni ’50 in poi:
La nostra civiltà è apparsa dopo l’ultima glaciazione e l’inizio dell’Olocene, il periodo geologico innescatosi 10.000 anni fa caratterizzato da un clima stabile e più caldo.
Nel momento in cui vi fu stabilità ambientale diventammo sedentari, iniziammo a lavorare nei campi dopo aver scoperto l’agricoltura ed imparammo a domesticare animali e piante.
Costruimmo villaggi e città per poi farle diventare le grandi metropoli che conosciamo oggi, evolvendoci sempre più velocemente.
Nello spazio temporale di una vita umana, partendo da circa gli anni ’50, un punto invisibile sulla linea del tempo, abbiamo trasformato radicalmente lo stile di vita ed i consumi di una grande fetta d’umanità: i nostri nonni non avevano una televisione da bambini ma uno smartphone da anziani. Una generazione ha visto i muli da traino ed i voli low cost. Le merci quintuplicarsi ed i mestieri entrare nel sistema industria. Le merci provenire quasi esclusivamente dal sistema industria. Anche gli ospedali sono diventate aziende. Abbiamo iniziato ad estrarre i fossili per trasformarli in energia e al loro posto abbiamo messo rifiuti non compostabili. Siamo state le prime generazioni a mangiare frutta e verdura in quantità e in qualsiasi stagione dell’anno e nello stesso piatto carne tutti i giorni. Ci possiamo fare una doccia calda e lavare i panni in lavatrice e i piatti in lavastoviglie, avere un’infinità di vestiti a basso costo. Se abbiamo una domanda ci sono dei motori di ricerca per trovare l’informazione. Possiamo connetterci virtualmente.
La sicurezza economica e la scolarizzazione facilitarono lo stabilirsi di diritti civili ed ecco lì che la ricetta per l’abbondanza di una parte della civiltà fu scritta ed attuata.
Tuttavia, quando fu deciso il tipo di energia da usare per produrre tutta questa abbondanza si volle puntare su energie esauribili e inquinanti, invece che su energie pulite come suggerito da qualcun altro, https://84ground.com/la-chemiurgia-non-abbiamo-bisogno-di-inquinare mettendo, di fatto, al periodo di abbondanza una data di scadenza.
Prendiamo ad esempio un settore come quello agricolo, che dovrebbe assorbire la Co2 grazie alle piante coltivate. In realtà rappresenta più un quarto delle emissioni totali di gas serra, mentre negli anni ’90, per produrre cibo, serviva emettere in atmosfera il 44% delle emissioni totali di gas serra antropici.
Per il mercato attuale i prodotti con un elevato impatto sul pianeta sono quelli che costano di meno.
Where do greenhouse gas emissions come from? | University of California
FAO: I sistemi alimentari contribuiscono per oltre un terzo alle emissioni mondiali di gas a effetto serra – UNRIC Italia
Gli oceani ricoprono i due terzi del nostro pianeta, producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, definiscono il clima e ci danno lavoro, cibo e medicine.
Una delle funzionalità naturali degli oceani è assorbire il 25% della Co2 in atmosfera e restituire il 50% dell’ossigeno che respiriamo.
Masterclass – Come stanno i mari? – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (fondazionefeltrinelli.it)
Aumentando le emissioni di Co2 nell’atmosfera, sono aumentate anche le particelle assorbite dagli oceani, portandoli ad essere sempre più acidi.
Dall’epoca preindustriale a oggi l’acidità degli oceani è aumentata del 26%. Questo tasso di acidificazione è 10 volte più rapido rispetto a tutte le altre acidificazioni che sono avvenute negli ultimi 55 milioni di anni.
L’aumento dell’acidità degli oceani provoca la diminuzione degli ioni di carbonato nell’acqua, necessari agli animali marini col guscio, ai coralli e ad alcuni plancton a creare la propria struttura.
Inizialmente queste specie avranno difficoltà a creare i propri gusci, a fine secolo sarà l’acqua stessa e la sua composizione a scioglierli.
Si è calcolato che se a fine secolo continuassimo ad emettere nell’aria la quantità odierna di gas serra, l’acidità degli oceani aumenterà del 170%.
Ocean acidification – the evil twin of climate change | Triona McGrath | TEDxFulbrightDublin – YouTube
E per continuar a rigirar il dito nella piaga, visto che gli oggetti hanno una vita più lunga della nostra ci sono 6 isole di plastica in giro per gli oceani.
Le 6 isole di plastica più grandi al mondo – Corriere.it
Dal momento che abbiamo un problema chiamato “plant blindness” – non vedere le piante, un bias cognitivo che non ci fa notare le piante e non ci fa riconoscere la loro importanza – ignoriamo il fatto che l’ecosistema nella quale viviamo ha una struttura ben definita, con scambi chimici, cicli naturali e leggi fisiche, chimiche e biologiche indispensabili all’ambiente per creare le condizioni necessarie alla sopravvivenza umana.
Se per produrre ciò di cui hai bisogno aggiungi gas serra a quelli già presenti in natura, gas che servono a mantenere il pianeta caldo, e rilasci in 150 anni 140.000 particelle chimiche, tossiche e persistenti, alcuni di sintesi, altri liberati nell’atmosfera come il mercurio.
Se usi più risorse rispetto a quelle che il pianeta ti può dare, per rigor di logica, prima o poi una conseguenza la dovrai vivere.
È difficile e faticoso pensare a questa eventualità durante la routine, di conseguenza la ignoriamo.
L’umano, con i propri costrutti, riesce a vivere parallelamente al pianeta che abita. La maggior parte degli umani, infatti, vive sul cemento. Spesso non ha un contatto giornaliero con la natura a causa della mancanza di verde nelle città. Estrae ed usa ciò che gli serve dalla terra sentendo solo le proprie necessità, e dall’inizio della rivoluzione industriale e dall’uso del petrolio, gli umani hanno assorbito un sistema diverso da quello tipicamente circolare della natura.
Per poco più di un secolo abbiamo giovato di tutto questo sistema, ma come l’energia che è stata scelta per la nostra prosperità, se rimangono queste le regole del gioco, anche la nostra sopravvivenza su questo pianeta avrà un limite.
Questo non è un problema come la crisi economica o il lavoro precario. In questo caso la soluzione non si può rimandare all’infinito. La natura ci mette a disposizione un tempo limitato nella quale ridimensionare l’impatto che abbiamo su di lei. Superato quel limite, la natura inizierà a dissestarsi per cercare un nuovo equilibrio e noi potremo solo osservare e subire questo processo, o per meglio dire, i bambini di oggi ed i loro figli.
Il primo avvertimento sul pericolo delle emissioni in atmosfera lo abbiamo avuto nel 1896 dal premio Nobel per la chimica Svante Arrhenius. Poi, nel 1972, il Club di Roma commissionò al MIT uno studio sull’impatto umano nel proprio ecosistema chiamato “The Limits to Growth”, “Rapporto sui limiti dello sviluppo” in italiano. In sintesi, lo studio ha scoperto che se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso ed incontrollabile declino della popolazione e della capacità industriale.
http://www.portaledellasostenibilita.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=346&Itemid=62
Le reazioni a questo studio le potete leggere in questo link LIMITI_SVILUPPO_lezione.pdf (treccani.it). Dopo essere andati nel link cliccate su CTRL+f e digitate “le critiche e il dibattito”.
Da quel momento fino ad oggi le pubblicazioni e gli avvertimenti sullo stato di salute del nostro ecosistema sono diventati milioni ma l’economia e la politica hanno continuato a fare orecchie da mercante, trascinando e acutizzando il problema fino ad oggi, ed ora, che è il 2022 e la questione non è più ignorabile, la politica si è riunita più volte per sottoscrivere obiettivi futuri incoraggianti, ma non ancora trasferiti nella pragmaticità. L’ONU ha dichiarato che gli obiettivi sul clima stanno “lasciando il mondo sulla strada di un aumento della temperatura di almeno 3,2 gradi entro la fine di questo secolo”. La fine del secolo sarà quando i bambini di oggi avranno 70/80 anni.
Visto che è stata posticipata troppe volte e troppo a lungo la soluzione di questo problema, la mia è diventata l’ultima generazione a poter scegliere se vivere in un ambiente compatibile con la nostra vita o consumare le ultime risorse del Pianeta non lasciando nulla alle prossime generazioni, e mandando in malora migliaia di anni di evoluzione umana. Queste le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite nel settembre del 2018: “Se non cambiamo rotta entro il 2020, rischiamo di perdere il punto in cui possiamo evitare che il cambiamento climatico diventi incontrollato, con conseguenze disastrose per le persone e tutti i sistemi naturali che ci sostengono”.
Secretary-General’s remarks on Climate Change [as delivered] | United Nations Secretary-General
Alla fine è solo questione di interessi. Un problema matematico e di volontà. Per fortuna i ricercatori ne hanno tanta.
Un gruppo di 30 scienziati hanno elaborato il grafico dei “9 limiti planetari” entro i quali le persone possono vivere e realizzarsi senza il pericolo di dissestare il proprio habitat naturale. Questo team ha esaminato numerosi studi interdisciplinari sui sistemi fisici e biologici della Terra ed ha individuato nove processi ambientali che potrebbero alterare drasticamente le capacità del pianeta di sostenere la vita umana. Per ciascuno di questi processi sono stati stabiliti limiti all’interno dei quali l’umanità può ritenersi al sicuro. Sette di essi hanno valori di soglia molto chiari, definiti in maniera scientifica per mezzo di un numero: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento da azoto e fosforo (riuniti sotto un’unica voce poiché tendono a verificarsi insieme), riduzione dell’ozono della stratosfera, acidificazione degli oceani, consumo globale di acqua dolce e uso globale del suolo. Gli altri due processi, inquinamento dovuto all’aerosol atmosferico e inquinamento chimico globale non sono stati studiati a sufficienza per stabilire limiti numerici precisi.
slide_16_limiti_per_un_pianeta_sano.pdf (manitese.it)