77 anni prima dell’accordo di pace: nascita del conflitto israelo-palestinese

Le terre mediorientali sono sempre state un buon obiettivo per le forze colonizzatrici.
Ancor più quando, a fine 1800, costruirono in Egitto il canale di Suez, che facilitava il collegamento e il commercio tra Europa e Oriente.

1916: Durante la prima guerra mondiale, Gran Bretagna e Francia si incontrarono segretamente per stabilire la spartizione dei territori mediorientali (accordi Sykes-Picot).

Il territorio arabo fu diviso su carta tra aree di influenza francese e di influenza inglese, mentre in Palestina volevano istituire un’amministrazione internazionale.
Per potersi insediare, però, bisognava sconfiggere l’Impero Ottomano che controllava la regione araba da secoli.

Per poter raggiungere i loro obiettivi, gli inglesi promisero agli arabi di riconoscere ed appoggiare la loro indipendenza in tutta la regione mediorientale¹, se avessero però combattuto l’Impero Ottomano a fianco degli inglesi.
(Corrispondenza – Husayn-McMahon 1915-1916)

1 Ad eccezione di Mersin, Alessandretta e parti della Siria che si estendono a ovest del distretto di Damasco, Homs, Hama e Aleppo.

Contemporaneamente promisero la Palestina agli ebrei sionisti, i quali avevano come obiettivo la creazione di uno Stato ebraico nella terra descritta dalla Bibbia, conosciuta come Israele.

Con la fine della prima guerra mondiale l’Impero Ottomano crollò.
L’Inghilterra, insieme all’alleata Francia, presero controllo delle terre descritte nell’accordo segreto “Sykes-Picot”

Nel 1920 la Palestina diviene un mandato britannico e, parallelamente, nasce l’Haganah, un’organizzazione paramilitare israeliana incaricata a contrastare i “nemici degli ebrei”, anche ricorrendo ad atti intimidatori nei confronti delle popolazioni autoctone.
La Gran Bretagna favorì la penetrazione sionista in Palestina, permettendo l’immigrazione incontrollata degli ebrei e l’acquisto di terre.

Tra il 14 e il 15 maggio 1948 fu proclamato lo “Stato ebraico in terra di Israele”.
Da quel momento in poi i conflitti si estesero anche nei suoi confini.

13 settembre 1993

Dopo 45 anni di conflitti tra Israele e Palestina, furono firmati a Oslo e a Washington degli accordi di pace, volti a cessare le violenze tra le due identità.
Per la prima volta si tenne un dialogo diretto tra i due paesi, dove vi successero degli incontri e dei negoziati.

Israele riconobbe così il diritto della Palestina all’autogoverno e la Palestina, a sua volta, riconobbe a Israele il diritto di esistere in pace e in sicurezza.
Gran parte della gente accolse questa notizia con gioia e tante persone scesero in piazza a festeggiare la ritrovata pace.

Accordi di pace firmati a Washington tra Yitzhak Rabin, Primo Ministro israeliano e Yasser Arafat, Presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)

4 novembre 1995

Non tutti furono contenti degli accordi di pace stipulati tra Israele e Palestina.
Hamas, noto gruppo estremista palestinese, non riconosceva ad Israele il diritto di esistere, mentre la destra israeliana aveva avviato una feroce campagna per contrastare gli accordi di pace. Organizzò delle manifestazioni rabbiose, nelle quali accostavano il Primo Ministro israeliano Rabin (promotore degli accordi di pace) alla svastica nazista.

Cori come questi incitavano alla violenza: “Nel fuoco e nel sangue espelleremo Rabin”, mentre Netanyahu (Leader del Likud, partito della destra conservatrice e attuale Primo Ministro di Israele) fomentava le grida in piazza, ribadendo che mai avrebbe permesso che Gerusalemme fosse stata divisa un’altra volta.

Rabin rispose con una sua manifestazione.

Più di 100.000 sostenitori si incontrarono per appoggiare gli accordi di pace e la soluzione dei due Stati.

Yigal Amir, un ebreo estremista e conservatore, raggiunse Rabin e gli sparò.
Rabin morì in quella manifestazione e con lui svanirono anche gli accordi di Pace.

Guerra umanitaria: Libia

L’eco della “primavera araba” fu ascoltato anche dai giovani libici e nel febbraio 2011 scesero in piazza per protestare contro il regime.
Le manifestazioni presto diventarono rivolte e portarono gli insorti a conquistare le città più importanti della Libia.

La comunità internazionale accusò Gheddafi di usare troppa violenza contro il suo popolo e con una risoluzione dell’ONU si diede via alle operazioni militari guidate dalla NATO contro le forze fedeli di Gheddafi: Insieme abbiamo deciso di mettere in atto le richieste dell’ONU per porre fine alle violenze contro la popolazione civile in Libia. Siamo tutti d’accordo nell’ usare tutti i mezzi anche militari per mettere in atto le decisioni del consiglio di sicurezza ONU”. Dichiarò l’allora presidente francese Sarkozy durante il Summit a Parigi sulla Libia.
Dopo l’inizio di questo intervento 50.000 libici persero la vita.

Nell’ottobre 2011 due cacciabombardieri francesi guidati da un aereo radar americano sganciarono due bombe a guida laser che colpirono Muammar Gheddafi. Subito dopo fu raggiunto dagli insorti e ucciso.

La morte del rais ha definito la nascita di due governi in continua lotta tra loro e lo stanziamento di numerose milizie islamiste e non, tra cui l’Isis.

Nel 2011 il numero di sbarchi sulle coste italiane fu di 16 volte più alto rispetto all’anno precedente.
Ora la Libia rappresenta uno dei punti di partenza più frequenti per i rifugiati.

C’eravamo tanto amati: storia dei rapporti tra Stati Uniti e Iran


Tre giorni dopo l’inizio del 2020, Trump ha sottoscritto e dato via all’attacco contro il generale iraniano Qasem Soleimani, artefice di tutte le operazioni militari iraniane dell’ultimo decennio.
Responsabile delle operazioni militari all’estero della Repubblica Islamica iraniana, è stato il protagonista di guerre importanti come la riconquista di Aleppo, in Siria, a favore di Bashar al-Assad.
Il drone statunitense MQ-9 Reaper lo ha colpito e ucciso dopo essere atterrato in Iraq, riaccendendo così la scintilla di una possibile ed ennesima guerra in Medio Oriente.
I toni tra i due Stati si sono alzati, facendoci ricordare quanto le relazioni tra Iran e Stati Uniti siano state complicate e pericolose negli ultimi anni. Eppure, i rapporti tra Iran e Stati Uniti non sono sempre stati così burrascosi.

È difficile però immaginarlo, se la storia non viene raccontata sin dall’inizio.

Qualche anno fa esisteva una pace di comodo tra gli Stati Uniti e l’Iran.
C’era uno Shah (re) in Iran, Mohammad Reza Pahlavi, che manteneva la propria posizione sul trono grazie all’appoggio e agli accordi presi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Protagonista di questi accordi, come spesso accade, erano i milioni di barili di petrolio presenti in Iran:

“Voi iraniani ci date il petrolio e noi vi diamo il denaro e il denaro lo tenete negli Stati Uniti, così potrete comprarvi tutto ciò di cui avrete bisogno in futuro”
(Ardeshir Zahedi, Ministro degli Affari Esteri, 1966-’73)

In Iran arrivarono i consiglieri militari americani, esperti in costruzioni di strade, canalizzazioni delle acque e fertilizzanti agricoli, mentre la Anglo Iranian Oil Company estraeva l’oro nero iraniano.

Gli obiettivi degli Stati Uniti e Gran Bretagna erano stati raggiunti, di conseguenza la dinastia dei Pahlavi poteva continuare a regnare tra lo sfarzo della sua corte, la bellezza delle sue regine e un popolo che viveva nell’ombra della loro ricchezza.
Allo Shah si affiancava il Primo Ministro e il Parlamento che trasformavano in legge le scelte prese dallo Shah e dai suoi partner internazionali.

Tuttavia, non è sempre stato facile regnare: la popolazione, il Parlamento guidato da Mohammad Mossadeq e il clero sciita erano contrari a rinnovare la concessione petrolifera all’Anglo Iranian Oil Company. Volevano che il petrolio presente nel territorio iraniano fosse nelle mani degli iraniani. Questo scatenò manifestazioni e la lotta del parlamentare Mohammad Mossadeq per la nazionalizzazione del petrolio iraniano.

Chiaramente questa era un’opzione inaccettabile per lo Shah, ancora di più per i suoi partner internazionali.
Lo Shah Pahlavi nominò il Generale dell’esercito Ali Razmara come Primo Ministro. Un uomo forte, volto a contrastare l’opposizione e a firmare il rinnovo della concessione petrolifera all’Anglo Iranian Oil Company, assicurando così alla Gran Bretagna i pozzi petroliferi. Anglo Iranian Oil Company che nel 1954 sarebbe diventata BP, British Petroleum Company. (Vedi: l‘ambiente, il petrolio e la chemiurgia)

La nomina del nuovo Primo Ministro non servì a fermare le manifestazioni contro il rinnovo del contratto petrolifero. Il Primo Ministro Ali Razmara fu assassinato e il 28 aprile del 1951 Mohammad Mossadeq divenne il Primo Ministro dell’Iran.

Mohammad Mossadeq, figlio di una principessa e d’un alto funzionario delle Finanze, studiò prima scienze politiche in Francia, poi diritto in Svizzera. Tornato in Iran nel 1950 divenne il leader del Fronte Nazionale, un’alleanza politica eterogenea, composta da nazionalisti, liberali, laburisti, repubblicani e sostenuta dal clero sciita guidato dall’Ayatollah Kashani.
Allergico al potere imperiale dei Pahlavi, li definì dei “parvenu, incolti, incapaci, gaudenti e festaioli”.

Il 1951 è stato l’anno nel quale il Regno dei Pahlavi iniziò a vacillare.
Come Primo Ministro Mossadeq mise immediatamente in atto ciò che aveva promesso: nazionalizzare le riserve petrolifere dell’Iran. Sostituì la “Ango Iranian Oil Company” con una compagnia petrolifera locale, ma non solo: voleva far diventare l’Iran una repubblica.
Limitò i poteri dello Shah, vietandogli di tenersi in contatto con i capi di stato esteri e rafforzò i poteri parlamentari.
Nel 1953 costrinse lo Shah a lasciare il paese, esiliandolo a Roma.

Ma la Gran Bretagna e gli USA non rimasero a guardare. Iniziarono ad ostacolare il commercio estero e gli affari dell’Iran, esercitando una pressione diplomatica affinché i loro alleati facessero lo stesso.
La Gran Bretagna congelò i capitali iraniani che si trovavano in gran parte nelle sue banche. Rafforzò la presenza militare nel Golfo Persico e attuò un blocco navale che impediva l’esportazione del petrolio iraniano. Mossadeq, come tutta risposta, espulse i tecnici inglesi.
I rapporti diplomatici tra Londra e Teheran si ruppero nell’ottobre del 1952.
Nell’impossibilità di esportare petrolio l’economia dell’Iran collassò, trascinando il Paese in una grave crisi economica e politica.

Mossadeq voleva salvare il paese dalla spirale della crisi. Si presentò davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite portandosi a casa una schiacciante vittoria diplomatica.
Andò prima a New York, poi a Washington per incontrare il presidente americano Truman e discutere della situazione iraniana.
Grazie a queste sue vittorie diplomatiche nel 1952 la rivista statunitense “TIME” lo nominò “uomo dell’anno”.

http://content.time.com/time/covers/0,16641,19520107,00.html

Era ormai diventata una situazione inaccettabile per tanti. Mossadeq si era fatto troppi nemici, sia tra le fila dei religiosi iraniani, sia tra le potenze internazionali. Sia per aver nazionalizzato il petrolio iraniano, sia per aver cacciato i reali dal Paese.

Non passò molto tempo e i suoi nemici organizzarono un colpo di Stato. Nel 2013 la CIA ha desecretato un documento che ufficializza il coinvolgimento della stessa CIA e del MI6* nella caduta del governo di Mossadeq.
Sotto il nome di “operazione TPAjax”, la CIA ha organizzato delle manifestazioni violente a Teheran, vandalizzando pesantemente il suo distretto commerciale.

*servizio di spionaggio per l’estero del Regno Unito

CIA HISTORY STAFF
https://nsarchive2.gwu.edu/dc.html?doc=4404303-Document-3-Central-Intelligence-Agency-History

CLICCA SOPRA LE PAGINE
https://archive.org/details/OperationAJAX/mode/2up

La casa di Mossadeq fu circondata dalle truppe del generale Zahedi.

Come in tanti altri Paesi,
https://en.wikipedia.org/wiki/United_States_involvement_in_regime_change
rovesciarono il governo iraniano di Mossadeq che venne processato e imprigionato per tre anni. Terminato il carcere passò il resto dei suoi giorni agli arresti domiciliari. Morì 14 anni dopo, nel 1967.

L’inizio di una repubblica e la nazionalizzazione del petrolio iraniano svanirono. Al loro posto tornò lo Shah Pahlavi e il suo nuovo Primo Ministro, il generale del golpe Fazlollah Zahedi, così che le cose potessero andare avanti alla vecchia maniera.

Non avevano però calcolato il peso della popolazione. Come scrive Elena Zacchetti su Il Post: “Dal 1963 al 1979 in Iran ci fu la cosiddetta “rivoluzione bianca”: un programma molto ampio di riforme attuate dallo Shah e suggerite dall’amministrazione statunitense di John F. Kennedy. (…) Le aspettative degli iraniani aumentarono senza però che di pari passo crescessero l’economia del paese e la lotta contro la corruzione del regime e della monarchia. Nel 1976 iniziò la crisi – da qualche anno la situazione delicata tra Israele, Egitto e Siria aveva rallentato la produzione del petrolio – con alti livelli di disoccupazione e inflazione: dal maggio del 1977 iniziarono le proteste degli intellettuali a cui si aggiunsero poi quelle dei religiosi, anche moderati.” https://www.ilpost.it/2013/11/26/iran-rivoluzione/


Ed ecco che le proteste rinascono, gli Ayatollah ammaliano l’opinione pubblica con la promessa d’indipendenza e nel 1979 l’Iran si trasforma nella “Repubblica islamica dell’Iran”.
Promulgarono una nuova Costituzione che definiva il nuovo assetto politico iraniano, dominato ora da organi religiosi con a capo la potente “Guida suprema” (che allora era Khomeini, oggi Khamenei).

L’intolleranza verso l’ingerenza occidentale si acutizzò di nuovo, culminata con il rapimento di diplomatici statunitensi in cambio della sospensione delle misure di congelamento dei depositi iraniani negli USA. Lo scambio avvenne ma i rapporti tra Iran e USA si ruppero definitivamente.

Lo Shah non c’era più, era stato esiliato. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non avevano più un partner accondiscendente, pertanto dovettero abbandonare tutte le ambizioni che avevano riposto sull’Iran. Da quel momento, fino ai giorni nostri, USA e Iran sono ritenute realtà nemiche.

Non c’erano più le basi per una pace di comodo, fatta di soldi e petrolio.
Ma possono mai essere queste le condizioni di una pace?

~

FONTI

http://www.treccani.it/enciclopedia/iran/

https://video.corriere.it/esteri/eliminazione-soleimani-ecco-come-morto-generale-iraniano/5a1153c0-306e-11ea-b117-147517815558

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/usa-iran-le-conseguenze-della-morte-di-soleimani-24728

https://www.youtube.com/watch?v=_E3vfDReDn4&t=1301s
https://www.britannica.com/biography/Ali-Razmara

https://www.ultimavoce.it/iran-mossadeq-cia-inghilterra/

https://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/library/world/mideast/041600iran-cia-index.html?_r=1

http://content.time.com/time/covers/0,16641,19520107,00.html

https://www.eastjournal.net/archives/44005

https://www.cia.gov/library/readingroom/document/cia-rdp78-04913a000100030032-7

https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP78-04913A000100030032-7.pdf

https://nsarchive2.gwu.edu/dc.html?doc=4404303-Document-3-Central-Intelligence-Agency-History

www.ilpost.it/2019/02/11/rivoluzione-iran-1979-khomeini/

https://archive.org/details/OperationAJAX/mode/2up

https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Mossadeq

IMMAGINE http://www.iranchamber.com/society/articles/women_prepost_revolutionary_iran2.php

Fonti La Storia Siamo Noi


Quanti sono

Dove vanno

Il costo dell’accoglienza

Afghanistan

Iraq

Siria

Il costo della guerra

*https://www.theguardian.com/world/2016/feb/11/report-on-syria-conflict-finds-115-of-population-killed-or-injured

*http://scpr-syria.org/publications/policy-reports/scpr-alienation-and-violence-report-2014-2/

Yemen

Migranti economici

Colonialismo

EPA

Accaparramento terreni

Un ringraziamento di cuore va a Raffaele Masto, con un semplice click e uno scambio di numeri mi ha spiegato per filo e per segno ciò che aveva visto in Africa, cosa vuol dire “accaparramento dei terreni” e quali sono i loro effetti. Gentilissimo e pieno di disponibilità senza averlo mai incontrato di persona. Anche tu te ne sei andato lontano, in un posto sicuramente migliore di questo.

Thomas Sankara

Un grandissimo ringraziamento a Silvestro Montanaro, autore del documentario qui sotto citato. A colui che mi ha regalato la possibilità di vedere il mondo con occhi diversi, l’Africa prima su tutti, mondi e persone che senza di lui sarebbero rimaste lontane. Che la terra ti sia lieve.

https://www.thomassankara.net/

Zygmunt Bauman, la società sotto assedio, 2005


Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti.
Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire

Thomas Sankara

“Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite. Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso di affermare, d’ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia senza la minima esitazione”

Discorso di Thomas Sankara alle Nazioni Unite. 1984

Thomas Sankara fu il primo Presidente del Burkina Faso, ex Alto Volta.
Alto Volta era il nome dato durante la conferenza di Berlino a un piccolo angolo di terra in Africa assegnata alla Francia.
Appena diventato presidente, Sankara cambiò il nome in Burkina Faso, così che rispettasse le proprie tradizioni e avesse un significato preciso nella propria lingua: “la patria degli uomini integri”.

Negli anni ’80 Thomas Sankara stava rivoluzionando il Burkina Faso e l’Africa:

Sprechi

“Abbiamo abolito le indennità presidenziali e stiamo riducendo anche gli stipendi dei funzionari statali e dei burocrati. I processi contro i ladri, contro coloro che rubano i soldi del nostro paese, ora vengono fatti e sono pubblici.”

Economia

“Dobbiamo far capire a tutti che i mercati africani sono degli africani. Dobbiamo produrre in Africa, trasformare le nostre materie prime in Africa e consumare in Africa. Dobbiamo produrre ciò di cui abbiamo bisogno e consumare ciò che produciamo, non ciò che importiamo”.

Ogni villaggio, ogni struttura territoriale aveva costruito edifici destinati ad ambulatori, piccoli dispensari, scuole, magazzini per lo stoccaggio dei cereali.

Pari opportunità

“Se a scuola una giovane donna rimane incinta viene espulsa. La escludono socialmente. Nessuno si domanda se quello con cui lei è rimasta incinta, sia anche lui nella stessa classe scolastica. E anche se lo fosse, lui, il ragazzo, non verrebbe espulso, resterebbe lì e potrebbe mettere incinta altre ragazze e avere figli fino al diploma ma la ragazza anche se un giorno prima del diploma aspetta un bambino viene espulsa”.

“Noi dobbiamo fare di tutto per dare ad ogni donna un lavoro, dobbiamo dare ad ogni donna i mezzi per realizzare una vita onesta e dignitosa”.
Tra le prime volte in Africa figurarono delle donne ministro: “Bisogna liberarci dal retaggio feudale, da quella cultura medioevale che ci ha insegnato a considerare l’uomo sempre al disopra della donna”.

Finanza

Sankara era contrario alla restituzione del debito che i paesi africani avevano contratto con finanziatori e paesi esteri per finanziare il loro sviluppo dopo gli anni del colonialismo.

 “Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita dei nostri popoli e il suo benessere.
Questi finanziatori ci sono stati consigliati e raccomandati. Ci hanno presentato pacchi di dossier e prospetti finanziari allettanti. Ma ora ci ritroviamo a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita, obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranei”.

“Quelli che ci hanno portato all’indebitamento, hanno giocato con noi come in un casinò. Finché hanno vinto e guadagnato non c’era nessun problema. Ora che rischiano di perdere, vogliono indietro tutti i soldi giocati. Ci dicono che altrimenti ci sarebbe la crisi. E invece no, hanno giocato. Ora possono anche perdere. Sono le regole del loro gioco e la vita continuerà.
Ma se il Burkina Faso resterà il solo a rifiutarsi di pagare, io non ci sarò alla prossima conferenza.
Se invece avrò il sostegno di tutti voi, sostegno di cui avrò un gran bisogno, potremo evitare di pagare e usare quindi le nostre risorse per lo sviluppo dei nostri paesi
”.

Meno di tre mesi dopo questo discorso, Thomas Sankara venne ucciso per mezzo di un intrigo internazionale.

Land grabbing

  • In Africa sono presenti il 24% dei terreni agricoli del Pianeta
  • Circa il 60% della sua popolazione è impiegata nell’agricoltura

Il Land grabbing (accaparramento di terreni) è l’acquisizione su larga scala di terreni agricoli in paesi che spesso soffrono la fame. Questo tipo di contratto parte dai 200 ettari in su, circa 10 volte la dimensione di un’azienda piccola. Il costo di un ettaro varia dai 3 ai 10 dollari e la durata dei contratti è tra i circa 50 ai 99 anni, rinnovabili.

L’acquisizione dei terreni viene fatta da aziende private, multinazionali, stati ma anche da speculatori, che lasceranno quella terra incolta finché la potranno rivendere
ad un prezzo migliore. Questa pratica ha portato gli abitanti e produttori locali a non poter più accedere alle proprie terre con conseguente espropriazione di case e di terreni.

Il più delle volte l’uso dei terreni da parte di investitori esteri si basa sulla monocultura (spesso provoca il disboscamento per ricavarne terra coltivabile), la produzione di carburanti e l’estrazione di minerali.

I due terzi dei ricavati sono destinati al mercato estero.

Tutto questo è stato possibile grazie alla decisione della Banca Mondiale di togliere qualsiasi limite all’acquisto di terre del sud del mondo. Da quel momento è cominciata una corsa sfrenata a basso costo che ha portato alla cessione di milioni di ettari.

Problemi di civilizzazione?

«La sfida dell’Africa è molto più profonda, è una sfida di civiltà. […] Stati falliti, transizioni democratiche, transizioni demografiche, infrastrutture, traffico di droga, traffico di armi, traffico di esseri umani e fondamentalismo violento, terrorismo islamista. Tutte queste cose insieme creano difficoltà in Africa. […]
Di grande importanza è la sfida demografica. Quando ci sono Paesi che contano ancora 7 o 8 figli per donna, puoi decidere di spendere miliardi di euro e non raggiungerai mai la stabilità»

Emmanuel Macron, presidente della Francia

Colonialismo, definizione:

è la dipendenza politica, culturale ed economica di una nazione nei confronti di un’altra.
Il tenere sottoposti popoli a un regime coloniale, in condizioni di soggezione economica, politica, culturale.

Dizionario Garzanti, Treccani


Prima fase: Nel 1400 ci fu il primo  sbarco degli europei in Africa.
L’obiettivo iniziale fu quello commerciale e di trovare una rotta marittima verso l’Oriente. Col tempo, però, le basi mercantili si trasformarono in insediamenti per lo sfruttamento minerario, agricolo e di  schiavi.
Nel Settecento intere popolazioni stanziate lungo le coste occidentali vennero deportate in massa.
Il continuo prelievo di schiavi causò carenze di forza lavoro tali da rallentarne il possibile sviluppo dei paesi.

Seconda fase: Dalla fine del 1800, il colonialismo europeo raggiunse il  suo apice.
Durante la conferenza di Berlino gli europei definirono la spartizione del continente africano, ma non fecero partecipare gli stessi stati africani, che non erano nemmeno riconosciuti tali dal sistema internazionale di allora.
I cittadini africani si batterono con incredibile tenacia contro la colonizzazione e fu necessario mantenere anche dopo una certa presenza militare per prevenire le rivolte. Tuttavia i loro sforzi furono vani contro un nemico che disponeva già di armi come la mitragliatrice.

All’inizio del 1900 il 90% dell’Africa era amministrata da un governo europeo.

L’integrazione europea in Africa.

L’Europa prese in mano l’amministrazione africana, ciascuna potenza coloniale in modo diverso. I metodi più diffusi erano l’assimilazione di stampo francese e l’amministrazione indiretta di stampo inglese.

– In una i colonizzati dovevano assimilare la cultura dei coloni, interiorizzarla, riconoscersi in essa e condividere i valori della madrepatria.

– L’altra tendeva a delegare l’amministrazione ai poteri preesistenti e a coinvolgere maggiormente i locali nella gestione delle colonie, al costo però di una separazione fra indigeni e bianchi più marcata che sfociava spesso in un’apartheid.

Africa: la storia ritrovata di Lorenzo Possamai

La lingua ufficiale dei paesi africani diventò quella del colonizzatore.


“A Berlino tracciarono delle frontiere arbitrarie ignorando che così separavano delle famiglie, delle etnie. In barba ad ogni principio quella gente ha deciso della vita e del futuro di milioni di esseri umani che vivevano nelle loro terre, con le loro culture, con i loro normali ritmi di evoluzione

Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso

2014/15: 5 Paesi africani

Nigeria

  • Nel nord della Nigeria continua l’emergenza umanitaria. Boko Haram commette
    crimini di guerra contro 14 milioni di persone. 2 milioni sono diventati sfollati interni.
  • Migliaia di uomini donne e bambini, durante la fuga in paesi più sicuri, sono stati arrestati arbitrariamente senza un adeguato processo, accesso ad un avvocato o un contatto con la famiglia. In carcere le malattie, la disidratazione e la fame sono frequenti.

Guinea

  • Le forze di sicurezza utilizzano un eccessivo uso della forza contro manifestanti pacifici comprese armi da fuoco e bastoni.
  • Persone che esprimono dissenso vengono perseguitate. Sono stati segnalati casi di tortura e altri maltrattamenti.
  • 3 ragazze su 5 in Guinea sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni.

Senegal

  • Le autorità continuano a limitare il diritto d’espressione, manifestazioni e assemblee pacifiche.
  • I cittadini rischiano il carcere per il loro orientamento sessuale.
  • Anche se diversi agenti di polizia sono stati condannati per uccisioni illegali, l’impunità è rimasta una preoccupazione.

Mali

  • Gli abusi dei gruppi armati sono all’ordine del giorno.
  • I dimostranti rischiano la vita
  • Il conflitto armato e l’instabilità sono aumentati e a causa di questo sono state chiuse molte scuole.
  • 33.000 persone sono sfollate interne.
  • La libertà di espressione è limitata.
  • Circa 3 milioni di persone non hanno accesso al cibo, 423.000 in grave malnutrizione.

Eritrea

  • Il servizio militare è obbligatorio anche per i bambini
  • Le persone dai 5 ai 50 anni non possono viaggiare al di fuori del paese pena l’incarcerazione
  • politici, giornalisti e praticanti di religioni non autorizzate vengono incarcerati senza processo e senza accesso ad un avvocato o membri della famiglia.

Amnesty International Report 2014/2015

Perché così tanti rifugiati? Yemen

Nel marzo 2015 una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita, con i paesi del Golfo e Stati Uniti tra le fila, ha iniziato a bombardare città yemenite per sostenere il presidente e combattere l’avanzata dei ribelli.

  • I bombardamenti della coalizione hanno ripetutamente colpito scuole, ospedali, campi profughi, mercati provocando più di diecimila morti, compresi 1.540 bambini e 40mila feriti (2016).
  • 17 milioni di yemeniti necessitano di assistenza alimentare mentre 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta.
  • Il blocco aereo e navale imposto allo Yemen dalle forze di coalizione ha rappresentato una delle principali cause della catastrofe umanitaria, mentre la violenza nel paese e la diffusa carenza di carburante hanno perturbato le reti interne di distribuzione dei generi alimentari. Il sistema sanitario è sull’orlo del collasso mentre è scoppiata una seconda epidemia di colera

La risposta internazionale

Nell’agosto 2016 Gli Stati Uniti hanno approvato la vendita di 1,15 miliardi di dollari in armamenti all’Arabia Saudita.
In un comunicato ufficiale del Dipartimento di Stato Usa si leggeva «Questa proposta di vendita contribuirà alla politica estera e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, contribuendo a migliorare la sicurezza di un partner strategico regionale che continua a essere un contributore importante per la stabilità in Medio Oriente».
Secondo la Control Arms Agency nel 2015, La Francia, la Germania, l’Italia, il Montenegro, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Regno Unito, Turchia e Svizzera hanno venduto armi all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 25 miliardi di dollari.