Che cosa fa un istituto di ricerca? Pubblica articoli, studi o progetti di legislazione su particolari questioni politiche o sociali. Dopodiché queste informazioni vengono utilizzate da governi, aziende, organizzazioni dei media, movimenti sociali o altri gruppi di interesse per il conseguimento di un fine. In pratica, un gruppo di intellettuali, politici o imprenditori hanno un obiettivo da raggiungere, gli istituti di ricerca creano teorie e strategie da seguire.
Di esempi a dimostrazione dell’utilità degli istituti di ricerca ce ne sono stati molti nel XX secolo: Il “Team B”, citato sopra, ha fatto lavoro di ricerca per una guerra fredda più aggressiva, l’Heritage Foundation, American Enterprise Institute, il Cato Institute sono serviti per promuovere gli ideali conservatori nella società americana ed ammorbidire l’allarmismo rispetto all’inquinamento ambientale, portando nella dialettica mediatica la sostituzione del termine “riscaldamento globale” con “cambiamento climatico”, mentre nel 1997 il movimento dei neoconservatori fondava il “Project for the New American Century” (Pnac).
Questo istituto di ricerca serviva a ribadire ciò che i padri fondatori neoconservatori già avevano dichiarato negli anni precedenti:
“Dobbiamo aumentare significativamente la spesa per la difesa se vogliamo svolgere le nostre responsabilità globali oggi e modernizzare le nostre forze armate per il futuro; dobbiamo rafforzare i nostri legami con gli alleati democratici e sfidare i regimi ostili ai nostri interessi e valori; dobbiamo promuovere la causa della libertà politica ed economica all’estero; dobbiamo accettare la responsabilità del ruolo unico dell’America nel preservare ed estendere un ordine internazionale favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri principi. Serve un esercito forte e pronto ad affrontare le sfide presenti e future; una politica estera che promuova coraggiosamente e intenzionalmente i principi americani all’estero e una leadership nazionale che accetti le responsabilità globali degli Stati Uniti”.
Le finalità del Pnac erano quelle di stabilire chiaramente quando e come gli Stati Uniti sarebbero stati chiamati a sostenere la democrazia al di fuori del proprio territorio, e quali effetti ciò potesse avere sull’equilibrio geopolitico. A tal fine, questa organizzazione si impegnava a promuovere la democrazia nel mondo attraverso pubblicazioni, conferenze, seminari e incontri sulla politica estera, per favorire la nascita di una nuova classe dirigente capace di una presa di coscienza e di una responsabilità politica più attente alla dimensione etica dell’agire americano nel mondo e raccogliere sostegno per la leadership globale americana.
L’ascendente di questa organizzazione fu decisamente ampio e andò ben oltre la galassia neoconservatrice. Collaborarono ai suoi lavori, o firmarono position papers e missive indirizzate al mondo della politica, personaggi provenienti da diversi schieramenti: a destra, i cosiddetti “falchi” unilateralisti come Dick Cheney e Paul Wolfowitz, da sempre sostenitori dell’eccezionalità americana e di un unipolarismo aggressivo in ambito internazionale; così come i realisti pragmatici, come Condoleezza Rice, Richard Armitage e Colin Powell, i quali ribadivano la necessità di interventi mirati volti a tutelare gli interessi economici e la sicurezza dell’America sulla scena globale. Anche dagli indipendenti, e persino da alcuni liberali, giunse in maniera ufficiosa l’appoggio all’unipolarismo così come formulato dal Pnac: personaggi di spicco sostennero la necessità di esercitare la potenza americana per il bene degli Usa e del mondo.
Il primo ordine del giorno del PNAC era l’Iraq, che, come scrisse George Packer nel suo libro del 2005 The Assassins’ Gate,sarebbe servito “come banco di prova per le idee [neoconservatrici] sul potere americano e sulla leadership mondiale“.
Sconvolti per il fallimento del primo presidente Bush nel cacciare Saddam Hussein, i neoconservatori si erano a lungo agitati per un’azione più aggressiva degli Stati Uniti, scrivendo numerosi articoli sull’argomento, creando gruppi di pressione come il Comitato per la Pace e la Sicurezza nel Golfo (i cui membri includevano Abrams, Khalilzad, Perle, Rumsfeld, Wolfowitz, Douglas Feith, John Boltone David Wurmser) ed attirando altre fazioni dell’establishment repubblicano alla causa.
In Iraq, il PNAC e i suoi alleati apparentemente videro l’opportunità di raggiungere due obiettivi separati ma correlati: mostrare al mondo che gli Stati Uniti erano la potenza globale dominante intraprendendo, nelle parole di Charles Krauthammer, “una ristrutturazione del panorama politico mediorientale lungo linee coerenti con la visione dei neoconservatori per la sicurezza israeliana”, che avevano delineato in numerosi documenti già dalla metà degli anni 1990.
(Institute for Advanced Strategic and Political Studies, “A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm,” 1996, which argued that “removing Saddam Hussein from power in Iraq [is] an important Israeli strategic objective in its own right.”)
Nel gennaio 1998, il PNAC pubblicò una lettera aperta al presidente Bill Clinton sostenendo che il “contenimento” dell’Iraq “si è costantemente eroso”, mettendo a repentaglio la regione. “Data l’entità della minaccia, l’attuale politica, che dipende per il suo successo dalla fermezza dei nostri partner della coalizione e dalla cooperazione di Saddam Hussein, è pericolosamente inadeguata”.
Il PNAC seguì pochi mesi dopo con una lettera aperta al leader del Senato Trent Lott (R-MS) e al presidente della Camera Newt Gingrich (R-GA), sostenendo che “l’unico modo per proteggere gli Stati Uniti e i loro alleati dalla minaccia delle armi di distruzione di massa è mettere in atto politiche che porterebbero alla rimozione di Saddam e del suo regime dal potere“.
Letter to President Clinton on Iraq (archive.org)