Settembre 2000: “Ricostruire la difesa americana”

Una delle pubblicazioni più influenti del PNAC è stato un rapporto di 90 pagine intitolato ‎‎”Rebuilding America’s Defenses: Strategies, Forces, and Resources For a New Century” che riportava in vita i principi del “Defence Plannig Guidance” di Wolfowitz (1992).

Come suggerisce il titolo del documento, c’era bisogno di ricostruire la difesa statunitense, il quale punto cardine risiedeva nel “preservare ed estendere la posizione vantaggiosa (degli USA) il più a lungo possibile nel futuro”.

“Nel decennio del dopoguerra, tuttavia, quasi tutto è cambiato. Il mondo della Guerra Fredda era un mondo bipolare; il mondo del 21° secolo è – almeno per il momento – decisamente unipolare, con l’America come “unica superpotenza mondiale”. L’obiettivo strategico dell’America era il contenimento dell’Unione Sovietica; oggi il compito è preservare un ambiente di sicurezza internazionale favorevole agli interessi e agli ideali americani. Il compito dei militari durante la Guerra Fredda era di scoraggiare l’espansionismo sovietico. Oggi il suo compito è mettere in sicurezza ed espandere le “zone di pace democratica”; scoraggiare l’ascesa di una nuova grande potenza concorrente; difendere le regioni chiave dell’Europa, dell’Asia orientale e del Medio Oriente; e per preservare la preminenza americana attraverso la prossima trasformazione della guerra resa possibile dalle nuove tecnologie”. (pag. 13)
Difatti, a pagina 34, affermano che “elementi dell’esercito americano in Europa dovrebbero essere ridistribuiti nell’Europa sudorientale, mentre un’unità permanente dovrebbe essere basata nella regione del Golfo Persico”.

Secondo i membri del PNAC era necessario “Mantenere forze sufficienti in grado di dispiegare e vincere rapidamente più guerre simultanee su larga scala”. (pag. 17). E per riuscire in tutto questo era necessario aumentare nettamente la spesa militare. Il documento auspicava un’accelerazione dei piani di acquisto di nuovi veicoli di media stazza, aumentare il numero di aerei da guerra e portare il budget del Pentagono “dagli attuali 70 miliardi di dollari a 90-95 miliardi di dollari all’anno”. (pag. 34)

I neoconservatori e chi sosteneva le loro idee erano ben coscienti che le loro aspirazioni andavano ben oltre la visione moderata del cittadino medio statunitense. Proprio per questo motivo scrissero una frase molto eloquente a riguardo. Pagina 63: “Il processo di trasformazione, anche se porterà un cambiamento rivoluzionario, risulterà molto lungo. A meno che si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, simile ad una nuova Pearl Harbor”.
Rebuilding Americas Defenses : Project for the New American Century/Foreign Policy Initiative/ : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive

Questo documento fu pubblicato il settembre del 2000.
Lo stesso anno, con uno scarto di circa lo 0,5% dei voti e senza un legittimo riconteggio delle schede elettorali, Geroge W. Bush vinse le elezioni ed entrarono nella Casa Bianca 32 firmatari del “Rebuilding America’s Defenses”. Dick Cheney diventò vice presidente, Donald Rumsfeld ministro della difesa, Paul Wolfowitz vice ministro della difesa e I. Lewis Libby capo del personale del vicepresidente ed assistente per gli affari di sicurezza nazionale.
PNAC Contributors and Signatories from the George W. Bush Administration – Militarist Monitor (militarist-monitor.org)

Un anno dopo, esattamente l’11.09.2001, l’evento catastrofico e catalizzante avvenne.

Finita la guerra fredda nacque il nuovo nemico temibile che come disse Kristol nel 1996 «avrebbe unificato il paese portandolo all’azione»

Il giorno prima dell’attacco e del crollo delle Torri Gemelle e dell’edificio WTC7, il 10.09.2001, il segretario della difesa Donald Rumsfeld dichiarò: “Secondo alcune stime, non siamo in grado di rintracciare 2,3 bilioni di dollari di transazioni”. (Defense Business Practices at the Pentagon, September 10, 2001)

https://www.c-span.org/video/?165947-1/defense-business-practices
min. 14:11

New York, Stati Uniti, undici settembre 2001
L’11 settembre sul grande schermo: dai documentari ai film di genere – Il Sole 24 ORE
1:27:39

Il termine “stati canaglia” entrò nella dialettica politica e giornalistica. Le strategie del PNAC furono incluse nella “Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti del settembre 2002” (la cosiddetta “dottrina Bush”) Info difesaNEW.
Poco più di un mese dopo gli attentati, fu promulgato lo “USA Patriot Act” che rendeva legittimo ogni mezzo per combattere il terrorismo, a costo di mettere a rischio i diritti dei cittadini, la privacy e la libertà d’espressione. Semplice utopismo ideologico secondo i neoconservatori.

Ed ultimo, ma non per importanza: dopo lo sforzo e l’impegno di istituti di ricerca e gruppi di lavoro, dopo articoli lunghissimi scritti su giornali e riviste, dopo strategie sviluppate e lettere piene di firme indirizzate al presidente Clinton che lo esortavano a credere nella pericolosità di Saddam Hussein e delle sue armi di distruzione di massa in Iraq, i presidenti erano diventati loro e riuscirono a realizzare la tanto amata ambizione: occupare l’Iraq, prendere in mano le redini dello Stato medio orientale e cacciare Saddam Hussein.
Avevo 12 anni quando vidi la condanna a morte per impiccagione del presidente iracheno nei principali telegiornali nazionali.


Il senatore Tom Daschle, il leader della maggioranza in Senato, nel maggio del 2002 dichiara in conferenza stampa: “Sono profondamente preoccupato per le informazioni avute proprio ieri riguardo l’avvertimento che il presidente avrebbe ricevuto nell’agosto del 2001 sulla minaccia di dirottatori da parte di Osama Bin Laden e della sua organizzazione. […] Più volte e in più occasioni il vice presidente Dick Cheney ha chiesto di non investigare sull’accaduto.
User Clip: Dick Cheney Asked Sen. Tom Daschle NOT To Investigate 9/11 | C-SPAN.org

Chissà come sarebbe stato l’11 settembre se fosse avvenuto 20 anni dopo.                                                                                                   

Ci sono cose che sono difficili solo da credere.



La P2 è stata una loggia massonica segreta ed eversiva, attiva in Italia durante la Guerra Fredda. Una rete di uomini agli alti vertici delle istituzioni italiane che si sono serviti del proprio ruolo nello Stato per perseguire gli obiettivi della loggia.
Legata agli eventi più oscuri della storia italiana di metà ‘900 – dalla strage di Bologna, al rapimento ed esecuzione dello statista Aldo Moro, dal golpe Borghese, fino ad arrivare ai legami con la malavita italiana, componenti del Vaticano e servizi segreti italiani e di paesi esteri – nel 1981 fu scoperta la lista degli iscritti lunga 962 nomi.
Nell’immagine, l’elenco delle cariche italiane coinvolte nella P2, testimoniate nel libro “Italia Occulta” di Giuliano Turone, il magistrato che dispose la perquisizione domiciliare di tutti i recapiti noti di Licio Gelli, “maestro venerabile” della loggia massonica P2.
La loggia massonica riuscì, attraverso questa strategia, a prendere le redini dello Stato e a deviare a proprio piacimento un pezzo di storia della Repubblica italiana.

QUESTA NON CHIAMATELA DEMOCRAZIA

NEOCONS – IL TEMPO NON MENTE MAI

Gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970

Gli anni ’60 furono caratterizzati dalla messa in discussione della morale e dei principi che fino a quel momento avevano caratterizzato la società civile e del ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Chi fino a quel momento non aveva avuto diritto all’autodeterminazione, chi era stato segregato sin dalla nascita, si rifiutò di continuare a vivere in quelle condizioni: femministe ed attivisti per i diritti degli afroamericani iniziarono a far sentire la loro voce e a manifestare per una nuova visione della vita e della società.

Erano gli anni del divorzio, della pillola contraccettiva e della guerra in Vietnam. Una guerra disastrosa che provocò la morte di migliaia di soldati statunitensi, 30.000 già nel 1968.
Quando una guerra si perde mostra a chiunque la sua brutalità, difatti nacquero in tutto il paese gruppi pacifisti che misero in dubbio le guerre per la “libertà” degli Stati Uniti. Gruppi che si diffusero a macchia d’olio davanti ai consolati USA di tutto il mondo, al grido “Yankee go home”. Martin Luther King, che in quel periodo aveva radunato in piazza più di 200.000 persone, definiva la guerra “il vero nemico dei poveri” e migliaia di giovani disertarono, rifiutandosi di combattere la guerra in Vietnam.
La contestazione della guerra del Vietnam (storicamente.org)

La Guerra Fredda non poté che subire un freno. Dopo venti anni di conflitto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica gli obiettivi delle due potenze non risiedevano più nella sola aggressione reciproca, ma anche in accordi bilaterali. Il primo fu sul disarmo nucleare, mentre nel giugno del 1963 fu instituita una linea telefonica permanente tra Casa Bianca e Cremlino per la gestione delle emergenze. Nel 1967 firmarono il “Trattato sullo spazio extra-atmosferico” che vietava l’uso dello spazio per fini nucleari, mentre nel 1968 il trattato riguardava lo stop alla proliferazione delle armi nucleari nel mondo.

Le condizioni sociali e politiche degli anni ’60 stavano portando ad una nuova visione delle persone, basate sui diritti dell’individuo e la libertà d’essere, contro i precetti religiosi e tradizionali. La politica iniziò a preferire le relazioni bilaterali e le persone non erano più interessate ad un conflitto tra due blocchi, in un mondo che stava diventando sempre più complesso.

Non tutti, però, avevano intenzione di accettare questi cambiamenti. All’interno del partito che appoggiava (moderatamente) le rivoluzioni civili e le distensioni dei rapporti con l’URSS – il partito democratico – insorse un gruppo di suoi componenti e sostenitori, i quali ritenevano inaccettabile tenere dei rapporti pacifici con la Russia comunista. Per loro la guerra fredda rappresentava innanzitutto uno scontro tra “civiltà e barbarie, libertà e schiavitù”.

(V. GOSSE, A Movement of Movements. The Definition and Periodization of the New Left,in J.C. AGNEW–R. ROSENZWEIG(eds), A Companion to Post-1945  America, Malden Mass., Blackwell, 2002, pp. 277-302. Si veda inoltre M. KAZIN –M.ISSERMAN, America Divided: The Civil War of the 1960s, Oxford, Oxford University Press, 2000).

Chi sosteneva un inasprimento delle relazioni con la Russia si scinse dal partito democratico per migrare verso i repubblicani, più vicini al loro pensiero.
Questo gruppo di politici, unito con intellettuali, giornalisti, analisti e funzionari, si definirono tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘70 “neoconservatori”. I nuovi conservatori, il quale pensiero si ispirava al filosofo Leo Strauss, colui che vedeva nella libertà individuale il declino della società e del suo funzionamento, convinto che “la crisi dell’Occidente derivi dalla sua incertezza rispetto al suo scopo”.

Il pensiero neoconservatore nacque nelle università, si diffuse tra i suoi studenti e superò i confini accademici attraverso le riviste fondate dai suoi più illustri portavoce: Irving Kristol, che  come  pochi  altri  può  ambire  al  ruolo di Padre del neoconservatorismo statunitense, fondò il Public Interest proprio nel 1965 con l’iniziale obiettivo di  riaffermare  un  approccio  pragmatico,  empirico  e  liberale  in  contrapposizione all’utopismo ideologico (e intrinsecamente pericoloso) di cui sarebbe caduto vittima il Partito Democratico.
/neoconservatori
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Intellettuali e giornalisti affascinarono con la loro visione degli Stati Uniti e del loro ruolo nel mondo uomini della politica e dell’amministrazione, che cercarono di riportare nel concreto le loro teorie, soprattutto nel campo della politica estera.

Servì qualche anno per vedere i membri neoconservatori scalare le vette dei governi statunitensi, fino a riuscire a ricoprire i più alti ruoli decisionali (vice presidente, ministro e viceministro della difesa, giusto per citarne alcuni) e vedere esaudire il loro sogno neoconservatore.

Il nostro viaggio temporale, e la loro scalata, inizia negli anni ’70.

77 anni prima dell’accordo di pace: nascita del conflitto israelo-palestinese

Le terre mediorientali sono sempre state un buon obiettivo per le forze colonizzatrici.
Ancor più quando, a fine 1800, costruirono in Egitto il canale di Suez, che facilitava il collegamento e il commercio tra Europa e Oriente.

1916: Durante la prima guerra mondiale, Gran Bretagna e Francia si incontrarono segretamente per stabilire la spartizione dei territori mediorientali (accordi Sykes-Picot).

Il territorio arabo fu diviso su carta tra aree di influenza francese e di influenza inglese, mentre in Palestina volevano istituire un’amministrazione internazionale.
Per potersi insediare, però, bisognava sconfiggere l’Impero Ottomano che controllava la regione araba da secoli.

Per poter raggiungere i loro obiettivi, gli inglesi promisero agli arabi di riconoscere ed appoggiare la loro indipendenza in tutta la regione mediorientale¹, se avessero però combattuto l’Impero Ottomano a fianco degli inglesi.
(Corrispondenza – Husayn-McMahon 1915-1916)

1 Ad eccezione di Mersin, Alessandretta e parti della Siria che si estendono a ovest del distretto di Damasco, Homs, Hama e Aleppo.

Contemporaneamente promisero la Palestina agli ebrei sionisti, i quali avevano come obiettivo la creazione di uno Stato ebraico nella terra descritta dalla Bibbia, conosciuta come Israele.

Con la fine della prima guerra mondiale l’Impero Ottomano crollò.
L’Inghilterra, insieme all’alleata Francia, presero controllo delle terre descritte nell’accordo segreto “Sykes-Picot”

Nel 1920 la Palestina diviene un mandato britannico e, parallelamente, nasce l’Haganah, un’organizzazione paramilitare israeliana incaricata a contrastare i “nemici degli ebrei”, anche ricorrendo ad atti intimidatori nei confronti delle popolazioni autoctone.
La Gran Bretagna favorì la penetrazione sionista in Palestina, permettendo l’immigrazione incontrollata degli ebrei e l’acquisto di terre.

Tra il 14 e il 15 maggio 1948 fu proclamato lo “Stato ebraico in terra di Israele”.
Da quel momento in poi i conflitti si estesero anche nei suoi confini.

13 settembre 1993

Dopo 45 anni di conflitti tra Israele e Palestina, furono firmati a Oslo e a Washington degli accordi di pace, volti a cessare le violenze tra le due identità.
Per la prima volta si tenne un dialogo diretto tra i due paesi, dove vi successero degli incontri e dei negoziati.

Israele riconobbe così il diritto della Palestina all’autogoverno e la Palestina, a sua volta, riconobbe a Israele il diritto di esistere in pace e in sicurezza.
Gran parte della gente accolse questa notizia con gioia e tante persone scesero in piazza a festeggiare la ritrovata pace.

Accordi di pace firmati a Washington tra Yitzhak Rabin, Primo Ministro israeliano e Yasser Arafat, Presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)

4 novembre 1995

Non tutti furono contenti degli accordi di pace stipulati tra Israele e Palestina.
Hamas, noto gruppo estremista palestinese, non riconosceva ad Israele il diritto di esistere, mentre la destra israeliana aveva avviato una feroce campagna per contrastare gli accordi di pace. Organizzò delle manifestazioni rabbiose, nelle quali accostavano il Primo Ministro israeliano Rabin (promotore degli accordi di pace) alla svastica nazista.

Cori come questi incitavano alla violenza: “Nel fuoco e nel sangue espelleremo Rabin”, mentre Netanyahu (Leader del Likud, partito della destra conservatrice e attuale Primo Ministro di Israele) fomentava le grida in piazza, ribadendo che mai avrebbe permesso che Gerusalemme fosse stata divisa un’altra volta.

Rabin rispose con una sua manifestazione.

Più di 100.000 sostenitori si incontrarono per appoggiare gli accordi di pace e la soluzione dei due Stati.

Yigal Amir, un ebreo estremista e conservatore, raggiunse Rabin e gli sparò.
Rabin morì in quella manifestazione e con lui svanirono anche gli accordi di Pace.

C’eravamo tanto amati: storia dei rapporti tra Stati Uniti e Iran


Tre giorni dopo l’inizio del 2020, Trump ha sottoscritto e dato via all’attacco contro il generale iraniano Qasem Soleimani, artefice di tutte le operazioni militari iraniane dell’ultimo decennio.
Responsabile delle operazioni militari all’estero della Repubblica Islamica iraniana, è stato il protagonista di guerre importanti come la riconquista di Aleppo, in Siria, a favore di Bashar al-Assad.
Il drone statunitense MQ-9 Reaper lo ha colpito e ucciso dopo essere atterrato in Iraq, riaccendendo così la scintilla di una possibile ed ennesima guerra in Medio Oriente.
I toni tra i due Stati si sono alzati, facendoci ricordare quanto le relazioni tra Iran e Stati Uniti siano state complicate e pericolose negli ultimi anni. Eppure, i rapporti tra Iran e Stati Uniti non sono sempre stati così burrascosi.

È difficile però immaginarlo, se la storia non viene raccontata sin dall’inizio.

Qualche anno fa esisteva una pace di comodo tra gli Stati Uniti e l’Iran.
C’era uno Shah (re) in Iran, Mohammad Reza Pahlavi, che manteneva la propria posizione sul trono grazie all’appoggio e agli accordi presi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Protagonista di questi accordi, come spesso accade, erano i milioni di barili di petrolio presenti in Iran:

“Voi iraniani ci date il petrolio e noi vi diamo il denaro e il denaro lo tenete negli Stati Uniti, così potrete comprarvi tutto ciò di cui avrete bisogno in futuro”
(Ardeshir Zahedi, Ministro degli Affari Esteri, 1966-’73)

In Iran arrivarono i consiglieri militari americani, esperti in costruzioni di strade, canalizzazioni delle acque e fertilizzanti agricoli, mentre la Anglo Iranian Oil Company estraeva l’oro nero iraniano.

Gli obiettivi degli Stati Uniti e Gran Bretagna erano stati raggiunti, di conseguenza la dinastia dei Pahlavi poteva continuare a regnare tra lo sfarzo della sua corte, la bellezza delle sue regine e un popolo che viveva nell’ombra della loro ricchezza.
Allo Shah si affiancava il Primo Ministro e il Parlamento che trasformavano in legge le scelte prese dallo Shah e dai suoi partner internazionali.

Tuttavia, non è sempre stato facile regnare: la popolazione, il Parlamento guidato da Mohammad Mossadeq e il clero sciita erano contrari a rinnovare la concessione petrolifera all’Anglo Iranian Oil Company. Volevano che il petrolio presente nel territorio iraniano fosse nelle mani degli iraniani. Questo scatenò manifestazioni e la lotta del parlamentare Mohammad Mossadeq per la nazionalizzazione del petrolio iraniano.

Chiaramente questa era un’opzione inaccettabile per lo Shah, ancora di più per i suoi partner internazionali.
Lo Shah Pahlavi nominò il Generale dell’esercito Ali Razmara come Primo Ministro. Un uomo forte, volto a contrastare l’opposizione e a firmare il rinnovo della concessione petrolifera all’Anglo Iranian Oil Company, assicurando così alla Gran Bretagna i pozzi petroliferi. Anglo Iranian Oil Company che nel 1954 sarebbe diventata BP, British Petroleum Company. (Vedi: l‘ambiente, il petrolio e la chemiurgia)

La nomina del nuovo Primo Ministro non servì a fermare le manifestazioni contro il rinnovo del contratto petrolifero. Il Primo Ministro Ali Razmara fu assassinato e il 28 aprile del 1951 Mohammad Mossadeq divenne il Primo Ministro dell’Iran.

Mohammad Mossadeq, figlio di una principessa e d’un alto funzionario delle Finanze, studiò prima scienze politiche in Francia, poi diritto in Svizzera. Tornato in Iran nel 1950 divenne il leader del Fronte Nazionale, un’alleanza politica eterogenea, composta da nazionalisti, liberali, laburisti, repubblicani e sostenuta dal clero sciita guidato dall’Ayatollah Kashani.
Allergico al potere imperiale dei Pahlavi, li definì dei “parvenu, incolti, incapaci, gaudenti e festaioli”.

Il 1951 è stato l’anno nel quale il Regno dei Pahlavi iniziò a vacillare.
Come Primo Ministro Mossadeq mise immediatamente in atto ciò che aveva promesso: nazionalizzare le riserve petrolifere dell’Iran. Sostituì la “Ango Iranian Oil Company” con una compagnia petrolifera locale, ma non solo: voleva far diventare l’Iran una repubblica.
Limitò i poteri dello Shah, vietandogli di tenersi in contatto con i capi di stato esteri e rafforzò i poteri parlamentari.
Nel 1953 costrinse lo Shah a lasciare il paese, esiliandolo a Roma.

Ma la Gran Bretagna e gli USA non rimasero a guardare. Iniziarono ad ostacolare il commercio estero e gli affari dell’Iran, esercitando una pressione diplomatica affinché i loro alleati facessero lo stesso.
La Gran Bretagna congelò i capitali iraniani che si trovavano in gran parte nelle sue banche. Rafforzò la presenza militare nel Golfo Persico e attuò un blocco navale che impediva l’esportazione del petrolio iraniano. Mossadeq, come tutta risposta, espulse i tecnici inglesi.
I rapporti diplomatici tra Londra e Teheran si ruppero nell’ottobre del 1952.
Nell’impossibilità di esportare petrolio l’economia dell’Iran collassò, trascinando il Paese in una grave crisi economica e politica.

Mossadeq voleva salvare il paese dalla spirale della crisi. Si presentò davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite portandosi a casa una schiacciante vittoria diplomatica.
Andò prima a New York, poi a Washington per incontrare il presidente americano Truman e discutere della situazione iraniana.
Grazie a queste sue vittorie diplomatiche nel 1952 la rivista statunitense “TIME” lo nominò “uomo dell’anno”.

http://content.time.com/time/covers/0,16641,19520107,00.html

Era ormai diventata una situazione inaccettabile per tanti. Mossadeq si era fatto troppi nemici, sia tra le fila dei religiosi iraniani, sia tra le potenze internazionali. Sia per aver nazionalizzato il petrolio iraniano, sia per aver cacciato i reali dal Paese.

Non passò molto tempo e i suoi nemici organizzarono un colpo di Stato. Nel 2013 la CIA ha desecretato un documento che ufficializza il coinvolgimento della stessa CIA e del MI6* nella caduta del governo di Mossadeq.
Sotto il nome di “operazione TPAjax”, la CIA ha organizzato delle manifestazioni violente a Teheran, vandalizzando pesantemente il suo distretto commerciale.

*servizio di spionaggio per l’estero del Regno Unito

CIA HISTORY STAFF
https://nsarchive2.gwu.edu/dc.html?doc=4404303-Document-3-Central-Intelligence-Agency-History

CLICCA SOPRA LE PAGINE
https://archive.org/details/OperationAJAX/mode/2up

La casa di Mossadeq fu circondata dalle truppe del generale Zahedi.

Come in tanti altri Paesi,
https://en.wikipedia.org/wiki/United_States_involvement_in_regime_change
rovesciarono il governo iraniano di Mossadeq che venne processato e imprigionato per tre anni. Terminato il carcere passò il resto dei suoi giorni agli arresti domiciliari. Morì 14 anni dopo, nel 1967.

L’inizio di una repubblica e la nazionalizzazione del petrolio iraniano svanirono. Al loro posto tornò lo Shah Pahlavi e il suo nuovo Primo Ministro, il generale del golpe Fazlollah Zahedi, così che le cose potessero andare avanti alla vecchia maniera.

Non avevano però calcolato il peso della popolazione. Come scrive Elena Zacchetti su Il Post: “Dal 1963 al 1979 in Iran ci fu la cosiddetta “rivoluzione bianca”: un programma molto ampio di riforme attuate dallo Shah e suggerite dall’amministrazione statunitense di John F. Kennedy. (…) Le aspettative degli iraniani aumentarono senza però che di pari passo crescessero l’economia del paese e la lotta contro la corruzione del regime e della monarchia. Nel 1976 iniziò la crisi – da qualche anno la situazione delicata tra Israele, Egitto e Siria aveva rallentato la produzione del petrolio – con alti livelli di disoccupazione e inflazione: dal maggio del 1977 iniziarono le proteste degli intellettuali a cui si aggiunsero poi quelle dei religiosi, anche moderati.” https://www.ilpost.it/2013/11/26/iran-rivoluzione/


Ed ecco che le proteste rinascono, gli Ayatollah ammaliano l’opinione pubblica con la promessa d’indipendenza e nel 1979 l’Iran si trasforma nella “Repubblica islamica dell’Iran”.
Promulgarono una nuova Costituzione che definiva il nuovo assetto politico iraniano, dominato ora da organi religiosi con a capo la potente “Guida suprema” (che allora era Khomeini, oggi Khamenei).

L’intolleranza verso l’ingerenza occidentale si acutizzò di nuovo, culminata con il rapimento di diplomatici statunitensi in cambio della sospensione delle misure di congelamento dei depositi iraniani negli USA. Lo scambio avvenne ma i rapporti tra Iran e USA si ruppero definitivamente.

Lo Shah non c’era più, era stato esiliato. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non avevano più un partner accondiscendente, pertanto dovettero abbandonare tutte le ambizioni che avevano riposto sull’Iran. Da quel momento, fino ai giorni nostri, USA e Iran sono ritenute realtà nemiche.

Non c’erano più le basi per una pace di comodo, fatta di soldi e petrolio.
Ma possono mai essere queste le condizioni di una pace?

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FONTI

http://www.treccani.it/enciclopedia/iran/

https://video.corriere.it/esteri/eliminazione-soleimani-ecco-come-morto-generale-iraniano/5a1153c0-306e-11ea-b117-147517815558

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/usa-iran-le-conseguenze-della-morte-di-soleimani-24728

https://www.youtube.com/watch?v=_E3vfDReDn4&t=1301s
https://www.britannica.com/biography/Ali-Razmara

https://www.ultimavoce.it/iran-mossadeq-cia-inghilterra/

https://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/library/world/mideast/041600iran-cia-index.html?_r=1

http://content.time.com/time/covers/0,16641,19520107,00.html

https://www.eastjournal.net/archives/44005

https://www.cia.gov/library/readingroom/document/cia-rdp78-04913a000100030032-7

https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP78-04913A000100030032-7.pdf

https://nsarchive2.gwu.edu/dc.html?doc=4404303-Document-3-Central-Intelligence-Agency-History

www.ilpost.it/2019/02/11/rivoluzione-iran-1979-khomeini/

https://archive.org/details/OperationAJAX/mode/2up

https://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Mossadeq

IMMAGINE http://www.iranchamber.com/society/articles/women_prepost_revolutionary_iran2.php

Perché così tanti rifugiati? Siria

Nel 1971 la famiglia Assad, attraverso un colpo di stato, si impadronì della politica e dell’economia siriana, assicurandosi il controllo del paese attraverso la tortura e la repressione dell’opposizione. Nelle carceri siriane sono migliaia i dissidenti sottoposti giornalmente a torture.

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Nel 2011, durante le proteste che stavano avvenendo nei paesi arabi, i siriani scesero in piazza pacificamente per chiedere nuove riforme e la fine della politica repressiva, che da più di 30 anni limita la libertà d’espressione dei siriani.

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Giorno dopo giorno le manifestazioni diventarono sempre più diffuse e imponenti.
Poco dopo vi furono le prime vittime causate dalla polizia.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea protestarono per la violenza che il governo di Assad usava contro manifestanti, rivendicando al popolo siriano il diritto di libertà e democrazia. Imposero sanzioni economiche contro la Siria, annunciarono la volontà di far rovesciare il governo di Bassar Al Assad e di finanziare gruppi armati moderati volti a combattere il regime.

Assad annunciò una nuova costituzione per cercare di tranquillizzare i rivoltosi, ma non servì a placare le rivolte.

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Pochi mesi dopo, le manifestazioni pacifiche si trasformarono in guerra.

  • Con l’aiuto economico e militare dell’Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Stati Uniti e alcuni paesi dell’Unione Europea, dei gruppi armati, mercenari e fondamentalisti sono riusciti a conquistare svariate città, con l’intento di far cadere il regime di Bassar Al Assad.
  • Dall’altra parte il regime che, con la Russia, l’Iran, e l’Hezbollah libanese, bombarda intere città per riprendere il controllo di quei territori.

Tra questi due fuochi, centinaia di migliaia di siriani sono stati uccisi, tra i quali tanti bambini. Non ci sono dati esatti sul numero di vittime della guerra in Siria.

La metà dei rifugiati che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015 erano siriani.
Ora sono i più numerosi in Europa.


Il costo della guerra

  • Le condizioni umane sono regredite del 32.6%, precipitando al 173esimo posto su 187 paesi.
  • l’aspettativa di vita è passata dai 75,9 anni del 2010 a 55,7.
  • Il 6% della popolazione è stata uccisa, ferita o mutilata durante il conflitto.
  • tra il 2014 e il 2015 il 50,8% dei bambini non sono andati a scuola. Più della metà dei bambini ha perso 3 anni scolastici.
  • nel 2014 risultava il 57.7% della popolazione siriana senza lavoro. Questo ha fatto sì che una quota crescente di giovani siriani si è unito a svariate organizzazioni impegnate nel conflitto e nelle attività illegali.
  • 4 siriani su 6 sono diventati poveri mentre circa il 30% della popolazione non è in condizione di assicurare cibo e beni necessari per la sopravvivenza della famiglia.
  • Con la guerra, l’espansione del mercato nero ha iniziato a dilagare, così come la mancanza di legge, l’aumento della dipendenza dal sostegno esterno e la mancanza di sicurezza economica.
  • Con l’indebolimento dello stato sono emerse reti internazionali e gang criminali involte in traffico di umani, abusi, contrabbando, sequestro di persona ed estorsione. Reclutamento combattenti e commercio di oggetti del patrimonio nazionale e storico.

Il caos e il vuoto che si è formato tra le istituzioni e le persone, hanno causato il fenomeno dell’alienazione, dove le persone non riescono più a rappresentare le loro priorità e le aspirazioni in ambito socioeconomico e politico. Di conseguenza le persone sono allontanate dai loro obiettivi, dalla politica e dalle relazioni formate da queste istituzioni.
Il popolo siriano è costretto a vivere sotto una terribile frattura sociale, politica ed economica che divide loro tra chi è coinvolto nella violenza.

Syria: « Alienation and Violence » Report Impact of Syria Crisis 2014 »
The Syrian Centre for Policy Research (SCPR), 10th of March

Perché così tanti rifugiati? Iraq

Nel dicembre 2011 l’esercito della coalizione lasciò l’Iraq*, ponendo fine ad un conflitto e un’occupazione durata 8 anni.

La guerra iniziò nel 2003, dopo che il governo statunitense e britannico accusarono il presidente iracheno, Saddam Hussein, di possedere armi di distruzione di massa e d’essere legato al terrorismo islamico.
12 anni dopo, l’allora premier britannico Tony Blair, si è scusato davanti alle telecamere della CNN, perché le informazioni d’intelligence che possedevano erano sbagliate.

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Nessuno sa con certezza quante persone abbiano perso la vita durante questa guerra.
Si stima che siano 165.000 i civili uccisi da bombe, bombardamenti aerei, spari, attacchi suicidi e incendi ma, visto che non sono state registrate accuratamente le morti, questo calcolo è lontano dalla cifra reale.

Il numero di morti aumenta significatamene se si pensa alle malattie, infezioni e malnutrizione causate dai danni dei sistemi che forniscono cibo, assistenza sanitaria e acqua potabile.

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Le persone non sono le uniche vittime di questa guerra.

Dopo la conquista di Baghdad tantissimi oggetti risalenti ad antiche civiltà, come quella dei sumeri, sono scomparsi, distrutti o fatti bruciare. Lo stesso destino toccò per i tanti scavi archeologici nel territorio iracheno. 

Gli accademici, uno dei sistemi sanitari migliori della regione e il sistema scolastico sono scomparsi.

*Circa 10 anni dopo l’ufficializzazione di questa notizia Dopo nove anni di campagna miltare Le truppe americane lasciano l’Iraq – Il Fatto Quotidiano nel 2021 scopriamo essere inesatta. Come dichiarato dal nuovo presidente degli Stati Uniti Biden: “gli Stati Uniti sono pronti ad annunciare la fine della missione di combattimento delle forze americane nel Paese”. Negli accordi si sottolinea che l’Iraq ha ancora bisogno di assistenza da parte Usa sul fonte della consulenza militare, dell’addestramento, del supporto logistico, dell’intelligence. Attualmente (2021) in Iraq ci sono 2.500 soldati Usa.

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Arrivati gli statunitensi in Iraq nel 2003 dichiararono che la legge irachena non vigeva più ed istituirono il “Coalition Provisional Authority” (CPA):

  • L’Ordine Generale n.1 fu quello di escludere i membri del Ba’ath (partito di Saddam Hussein) dalle cariche più importanti del paese e inserirono, in un secondo momento, un governo sciita.
  • L’Ordine Generale n.2 decretò lo scioglimento dell’esercito iracheno, licenziando più di 400 mila soldati. Non riuscirono però a raccogliere le loro armi e offrire loro un percorso alternativo.

L’occupazione straniera e l’isolamento dei sunniti dalla vita politica hanno provocato la nascita di gruppi armati e una frattura nell’identità politica e religiosa dell’Iraq, tramutatosi poi in guerra civile.

Le continue violenze e il poco controllo dello Stato sul paese ha fatto sì che nel 2014 l’Isis dichiarò il califfato in una delle città più importanti dell’Iraq, Mosul, aggravando il vortice di violenza nel paese.


4,4 milioni di iracheni sono sfollati nel proprio paese. Un ulteriore 264.100 sono rifugiati all’estero (UNHCR 2015)

La madre di tutte le guerre

Tempo fa ho visto un film. Si chiamava Vice e parlava di un uomo, un uomo che nella prima metà della sua vita non era dedito né allo studio, tanto meno al lavoro. Cacciato dalla prestigiosa università Yale, i suoi hobby preferiti erano l’alcool e le scazzottate nei bar della campagnola Wyoming (USA).
Una di quelle persone che non avresti mai immaginato diventare vice presidente degli Stati Uniti, durante il periodo più delicato del nuovo secolo.
Questo uomo si chiama Dick Cheney, legato ai repubblicani e alla sua dolce metà, che lo accompagnerà e sosterrà durante tutta la sua scalata al potere.
Inizia come portaborse del repubblicano Donald Rumsfeld, figura controversa a cui serviva un assistente fedele e silenzioso. Compito non difficile per Dick Cheney.

Da destra Dick Cheney e il suo consigliere legale David Addington

Siamo ancora nel vecchio secolo, esattamente negli anni ’70, quando la presidenza repubblicana di Nixon fu assalita dallo scandalo Watergate.
Al partito servivano facce nuove non riconducibili alla cerchia di Nixon, ed ecco che nella carriera politica di Cheney si apre una breccia. In poco tempo Dick Cheney diventa Capo di Gabinetto, che vuol dire dirigere l’intero personale al servizio del Presidente, quindi, parte del più alto organo del potere esecutivo.
Ma che cosa vuol dire “potere esecutivo”? Cheney non era stato bravo a scuola, così se lo fece spiegare da qualcuno più informato di lui. Qualcuno già dentro le stanze del palazzo.

L’organo esecutivo è uno dei tre poteri dello Stato e si occupa di attuare ed applicare le leggi ma una pulce nell’orecchio arricchì questa definizione mostrandogli quanto grande può diventare chi sta a capo del potere esecutivo.
Questa pulce era un giovane avvocato del dipartimento di giustizia, anche lui in carriera, che introdusse Cheney alla “teoria dell’esecutivo unitario”.
Spiegata con parole comuni, questa teoria è un’interpretazione dell’Articolo 2 della Costituzione americana. Sostiene che tutto ciò che fa il Presidente è legale, perché è il Presidente, di conseguenza, il Presidente può essere indipendente ed agire senza consultare le altre cariche istituzionali. In questo modo, avrebbe il diritto di fare qualunque cosa gli venga in mente.
Da lì in poi Cheney iniziò a vedere la politica con altri occhi, soprattutto con altri orizzonti.

Dopodiché arrivarono i democratici e ribaltarono le carte in tavola.

04 May 1970, New Brunswick, New Jersey, USA — Students demonstrate at Rutgers University here, May 4, protesting the Nixon Administration’s Cambodian policy. The Rutgers demonstration is one of many being staged on university campuses across the nation, May 4, and the remainder of the week. They’re gathered in front of the Administration Building. — Image by © Bettmann/CORBIS

Erano gli anni ’70. Gli anni del cambiamento, delle rivoluzioni sociali, dei diritti civili.
Le persone iniziavano a percepire la realtà e ciò che gli circondava in modo diverso. Si iniziava a vedere l’ambiente con occhi diversi, a riflettere sulle varie alternative all’energia fossile.

Ma questo non conveniva a tutti. I repubblicani e le grandi corporazioni non avevano da guadagnarci con questa ventata di cambiamento, più che altro avevano da perderci.

Eppure delle famiglie ricchissime avevano la soluzione: i fratelli Koch per esempio, a capo della Koch Industries, con un fatturato annuo di circa 100 miliardi di dollari grazie alla raffinazione del petrolio e non solo. Nel loro profilo LinkedIn si descrivono così:
“Cibo. Riparo. Capi di abbigliamento. Trasporti. Koch Industries crea le necessità di base della vita, innovando i modi per renderla ancora migliore. Tuttavia, la difesa di una società libera e aperta è ciò che veramente ci distingue.
Ti interessa la vita dei Koch? Seguici su Twitter su @LifeAtKoch!”.

Fortune Brainstorm TECH 2016 MONDAY JULY 11TH, 2016: ASPEN, CO 3:00 PM WHAT MAKES A LARGE PRIVATE COMPANY TICK? Charles Koch, Chairman and CEO, Koch Industries Interviewer: Alan Murray, Editor, Fortune PHOTOGRAPH BY KEVIN MOLONEY/Fortune Brainstorm TECH

Ecco, famiglie come queste iniziarono a firmare grassi assegni per finanziare istituti di ricerca e analisi nei campi della sociologia, della politica sanitaria, della politica economica, internazionale e studi costituzionali.

Sotto i nomi Cato Institute”, The Herritage Foundation” e American Enterprise Institute” venivano e vengono tuttora effettuate ricerche e sperimentazioni per ”la promozione presso la leadership politica e l’opinione pubblica di un pensiero sulla società e sulla politica, i cui valori principali sono il libero mercato, la difesa delle libertà individuali, il limitato intervento dello Stato nella vita economica e sociale e una efficace protezione delle frontiere” e “orientare le scelte e la visione politica della leadership e dell’opinione pubblica”. (Fonte: Treccani)

Riassunto, l’obiettivo di questi istituti di ricerca e di chi li finanziava era di spingere la società civile e la leadership a vedere il mondo con gli occhi delle grandi corporazioni. In questo modo, quando una corporazione avrebbe avuto bisogno di far attuare una sua idea o una sua decisione, il governo li avrebbe appoggiati, e nessuno della società civile avrebbe sentito il bisogno di protestare.

Queste idee riuscirono ad arrivare nelle case degli americani grazie al canale Fox News.
Dopo il veto sulla dottrina dell’imparzialità, altresì detta par condicio, riuscirono a dare vita a un canale d’informazione palesemente virato a destra, conservatore, che dava voce a tutti i risultati che quegli istituti di ricerca avevano scoperto.
In questo modo l’effetto serra diventò “cambiamento climatico”, la tassa di successione per i milionari “tassa sulla morte” e iniziarono a trasformare le parole, mescolarle per dare a loro il significato più conveniente.
Le parole divennero mezzo per imporre il proprio volere. Quando la televisione e le radio erano l’unico mezzo d’informazione disponibile, non fu difficile raggiungere questo obiettivo.

Ma torniamo a Dick Cheney.

Dick Cheney non riuscì a diventare Presidente degli Stati Uniti. Si ritirò a vita privata e cambiò carriera. Dalla politica passò all’industria.

Oramai era diventato un amministratore delegato di una grande società petrolifera, la Halliburton.
Di questo ce ne sarà occasione di parlarne più tardi.

https://flic.kr/p/uYSb9

I colpi di scena non finiscono.
Una telefonata e un incontro con il candidato alla presidenza George W. Bush. Vuole che Dick diventi suo Vice. Lui non è convinto di questa proposta ma qualcosa lo alletta.

Poi arriva il giorno delle elezioni presidenziali.
I risultati non sono chiari e ancora non si capisce se la presidenza debba andare al figliol prodigo George W. Bush o allo sfidante democratico e ambientalista Al Gore.
ll bivio dove la storia era appollaiata in quel momento era diviso da una linea sottilissima che la Corte Suprema definì, impedendo il riconteggio delle schede elettorali.
George W. Bush, figlio della stirpe Bush, quello che da giovane era una “testa calda”, diventò il 43esimo Presidente degli Stati Uniti con un margine di 537 voti. Dick Cheney, il Vice Presidente del primo governo repubblicano del XXI secolo, ma a una condizione, poter lavorare come un cane sciolto.
E così fu.

Lo staff della Casa Bianca lo scelse lui stesso, lasciando fuori alcuni della cerchia del Presidente Bush. Aprì suoi uffici nella maggior parte degli organi statali, dove di norma il Vice Presidente non risiedeva. Uno alla camera, dove veniva definito il budget, due uffici al senato, uno al pentagono e una sala riunioni alla Cia, quando si scelse di invadere l’Iraq.

Era arrivata l’ora di mettere in atto “la teoria dell’esecutivo unitario”. Con la rete che era riuscito a costruire negli anni non sarebbe stato difficile: gli istituti di ricerca trovavano la forma più adatta per presentare all’opinione pubblica i loro intenti, le televisioni trasmettevano il messaggio alle persone e il gioco era fatto, il suo impero anche.

Poi arrivò l’ora delle politiche energetiche di Cheney. Anche lì fu facile sviare le regole.

I dettagli degli incontri con gli amministratori delegati dell’energia (petrolio e gas) non furono mai dichiarati, ma una richiesta basata sulla legge della trasparenza rivelò una mappa dei giacimenti di petrolio dell’Iraq con tutte le compagnie interessate ad acquistarle, se fossero state disponibili.

Poi il tempo si fermò.
New York fu invasa da un’enorme nuvola di polvere.
Due torri di 110 piani e una di 47, distanti qualche metro, crollarono come cenere a causa di due aerei.
Il Presidente Bush non si trovava alla Casa Bianca quindi era compito del vice presidente gestire la situazione.
Dick Cheney e la sua cerchia, tra cui il suo consulente legale, si trovarono nelle stanze a manovrare le operazioni in modo controverso, come avevano fatto fino ad adesso. I caccia non si alzarono immediatamente in volo per seguire gli aerei che erano stati dirottati e al Pentagono non risposero prontamente alle segnalazioni di allarme. Era il caos.

In quello che poi si svelò un attacco terroristico, persero la vita 2.977 persone. Impiegati, vigili del fuoco, mamme e papà si spensero come le fiamme nei grattacieli che avevano fatto crollare, lasciando intorno a loro e in tutto il mondo soltanto polvere, rabbia e tanta paura.

Il giornalista N.J. Burkett durante il crollo della Torre Sud

I media chiedevano vendetta, così anche le persone e presto vi fu guerra. La cosiddetta “guerra al terrore” contro terrorismo e terroristi, che ancora oggi miete vittime incoscienti del motivo per il quale stanno morendo.

Iniziò con il bombardamento e l’occupazione dell’Afghanistan, ma il primario obiettivo per Cheney e i suoi era un altro. Era l’Iraq, parte dell’antica Mesopotamia, ricco di reperti di civiltà antiche ormai ingoiati dalla guerra. Ricco di quel materiale prezioso che la terra ci dona chiamato petrolio.

La macchina della propaganda si doveva rimettere in moto. Spunta fuori dalla CIA la notizia che l’Iraq e il suo dittatore Saddam Hussein possedessero delle armi di distruzioni di massa. Inoltre i media continuavano a ripetere che Saddam Hussein era legato ad Al Qaida, il gruppo terroristico che avrebbe colpito gli USA l’11 Settembre del 2001.
https://www.c-span.org/video/?182360-1/the-connection-al-qaeda-saddam-hussein

Questi legami, esattamente come le armi di distruzione di massa, non sono mai stati trovati.

Ma convincere solo gli americani non bastava. Una fialetta piena di polvere bianca fu mostrata durante il discorso contro Saddam Hussein dal segretario di Stato americano Colin Powell alle Nazioni Unite. Stavano cercando degli alleati in quella guerra e li trovarono.
Prima bombardarono città e case, poi presero le redini del governo e sciolsero l’esercito iracheno, lasciando per strada migliaia di soldati armati ed arrabbiati. Per combattere il terrorismo, per portare al popolo iracheno libertà e democrazia.

La capitale Baghdad non si riconosceva più, le bombe avevano cambiato la fisionomia di città antichissime e avevano stremato chi vi ci abitava. Più di 600.000 iracheni subirono una morte violenta per una causa che non gli apparteneva.
4.550 soldati americani sono stati uccisi. Numero che superava le vittime dell’attacco terroristico dell’11 settembre.
Dal 2001 il suicidio tra i soldati americani è aumentato del 31%.

Ma c’era chi stava meglio. Dopo la distruzione arriva la ricostruzione, ed ecco chi aveva prima distrutto, adesso si proponeva come costruttore di nuove strutture, nuove scuole, strade, ospedali e di servizi primari come l’elettricità e l’acqua. Il nuovo obiettivo della presidenza Bush e vicepresidenza Cheney non era più distruggere ma costruire.

La guerra in Iraq si era trasformata in un “nuovo mercato emergente”.
In un hotel Sheraton, in Virginia, 400 uomini d’affari si riunirono in quella che chiamarono “ReBuilding Iraq” per spartirsi i settori e i soldi che il governo statunitense aveva messo a disposizione per ricostruire il paese che avevano appena bombardato, occupato e distrutto.
In quell’occasione erano a disposizione $ 18,6 miliardi di dollari di contratti, per i prossimi due mesi.

Le persone da incontrare provenivano dall’Autorità Provvisoria della Coalizione (autorità internazionale sostitutiva al governo iracheno di Saddam Hussein, riconosciuta all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – risoluzione 1483*), dal suo nuovo ufficio di gestione dei programmi, dall’esercito Corpo degli ingegneri, dall’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, da multinazionali, da Bechtel e dalla Halliburton.

Ve la ricordate la Halliburton? La compagnia petrolifera cui Cheney era amministratore delegato prima di diventare Vice Presidente? È stata la prima a ricevere un contratto plurimiliardario per ricostruire l’Iraq, senza gara d’appalto. Lei e la sua impresa gemella KBR.

Ora il campo d’azione della Halliburton non era più il solo petrolio, ma anche l’approvvigionamento delle forze armate presenti in Iraq e la ricostruzione di un Paese esistente solo sulla mappa.

*Generalità – Difesa.it

Vedi da 1:40:03

Mentre il ministero della difesa americano perdeva le tracce di 2,3 mila miliardi (2,3 trilion) in un solo anno. Soldi dei contribuenti, ovviamente.

Senate Confirmation hearings Secretary of Defence, Mr. Byrd.

Mentre decine di migliaia di mercenari, gestite da società private, si divertivano a fare il tiro al bersaglio con povera gente che si trovava nel luogo sbagliato nel momento sbagliato.

Mentre la tortura veniva considerata legittima, sulla base della “teoria dell’esecutivo unitario” e giustificata dallo stato di “guerra al terrorismo”, documenti secretati (vedi anche Torture Memos, John Yoo, 2002) suggerivano ai militari in campo l’uso di violenza inaudita, di cani, la rimozione di vestiti, l’umiliazione sessuale, rimanere ore legati in posizioni stressanti, tutto questo a prigionieri catturati senza legittimo mandato. Abu Ghraib ne è testimone.

Mentre la casa Bianca Bush-Cheney dichiarava di aver perso 22 milioni di e-mail a causa di periodi di “blackout”.
Mentre la guerra al terrorismo e il caos che creava dava vita a nuove organizzazioni terroristiche come l’ISIS.
Mentre la nostra civiltà moriva ammazzata, dall’altra parte dell’inferno si sentivano schioccare i calici di ricchi imprenditori, come quelli della Halliburton che vedevano lievitare le proprie azioni del 500%, o quelli delle compagnie petrolifere come la Exxon Mobil, che durante la guerra riuscì a guadagnare in tre mesi dieci miliardi e mezzo. In tre mesi.
Mentre questi personaggi ingoiavano ingordi e felici qualunque cosa gli si presentasse sulla loro strada, a chi in quelle strade ci era nato e cresciuto non veniva lasciato niente, se non morte e distruzione. E chi abitava un po’ più lontano da quelle terre martoriate, in seguito, avrebbe conosciuto solo i loro rifugiati.

Il film finisce, le luci si riaccendono e il cinema chiude. Devo uscire e ormai è già buio, proprio come la realtà che quel film mi ha mostrato.
Lungo la strada di casa piango. Piango, ricordandomi questo video.

Wesley Clark, ex Generale dell’esercito degli Stati Uniti


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FONTI

Film Vice – l’uomo nell’ombra, di Adam McKay, Gary Sanchez Productions, Plan B Entertainment, 2018

https://it.businessinsider.com/ecco-le-25-famiglie-piu-ricche-al-mondo-una-e-italiana-che-hanno-un-patrimonio-complessivo-di-1-100-miliardi

http://www.treccani.it/enciclopedia/heritage-foundation_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/cato-institute_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/american-enterprise-institute-for-public-policy-research_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

https://www.theguardian.com/theguardian/2004/jan/17/weekend7.weekend6

https://www.youtube.com/watch?v=R889eSvuS-w&list=WL&index=143&t=29s

https://www.facebook.com/watch/?v=407908456406804

http://www.infomercatiesteri.it/public/rapporti/r_105_iraq.pdf

https://www.harris.com/press-releases/2004/01/harris-corporation-awarded-96-million-contract-for-development-of-the-iraqi

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/03/11/la-ricostruzione.html

http://www.archiviostampa.it/it/articoli/art.aspx?id=2893

https://www.repubblica.it/online/esteri/iraqdiciotto/powell/powell.html

Afghanistan – il lieto fine negato

Dai testi: “La storia siamo noi”.

https://www.repubblica.it/esteri/2013/07/09/foto/kabul_anni_60-62622520/1/

Nel link qui sopra si trovano le foto che scattò William Podlich a Kabul, in Afghanistan, tra il 1967 e il 1968.

William Podlich era un professore dell’Arizona che si trasferì in Afghanistan con la moglie e le due figlie per insegnare in un college della capitale.
Peg, la figlia del professore, ricorda: “Quando rivedo le foto di mio padre, mi viene in mente un Afghanistan ricco di storia e di cultura”.

“Mezzo secolo fa, le donne afgane facevano tranquillamente carriera nel campo della medicina; uomini e donne si mescolavano tranquillamente al cinema e nei campus universitari a Kabul (…) C’era la legge, c’era l’ordine e c’era un governo capace di intraprendere grandi progetti di infrastrutture nazionali, come la costruzione di centrali idroelettriche e strade. La gente aveva speranza, credeva che l’educazione avrebbe potuto aprire opportunità per tutti ed era convinta che si prospettasse un brillante futuro“.
Mohammad Qayoumi, Once Upon a Time in Afghanistan


24 dicembre 1979

L’Unione Sovietica occupa l’Afghanistan spezzando la pace e la stabilità che negli anni era riuscita a costruire.

La guerra, causata dall’occupazione, provoca un milione e mezzo di morti. 5 milioni di afgani perdono le loro case e diventano profughi.


Finita la guerra fredda, l’Unione Sovietica smise di rifornire l’esercito afgano di cibo, carburante e sostegno finanziario. I militari afgani si ritrovarono senza risorse e in poco tempo l’esercito si sfaldò.

Il presidente Najibullah tentò di scappare in India ma dei gruppi armati lo bloccarono, così cercò rifugio nei palazzi delle Nazioni Unite.

Najibullah rimase rinchiuso in quei palazzi per quattro anni fino a che i talebani riuscirono a conquistare Kabul.
In una notte del 1996 sequestrarono il presidente e suo fratello. Fu picchiato, torturato ed evirato. Legarono il suo corpo dietro una jeep e lo trascinarono svariate volte intorno al complesso dell’ONU. Poi il corpo fu appeso, affianco a quello del fratello che aveva subito lo stesso destino.


Ahmad Shah Massoud

Fra i tanti personaggi che combatterono in Afghanistan vi fu Ahmad Shah Massoud. Uomo di cultura, amante della poesia, aperto al mondo ed eroe nazionale, riuscì a sconfiggere l’occupazione russa nella valle del Panjshir.

Dal documentario “Massoud l’afghan” di Christophe de Ponfilly

Nel 1996 Massoud fu costretto a tornare nella valle per combattere l’avanzata dei Talebani.

In quell’anno unì afgani di svariate fazioni e gruppi etnici, spesso in lotta tra loro, per combattere i Talebani, un gruppo estremista rifornito di armi, mercenari e appoggio economico dal Pakistan, Arabia Saudita e Stati Uniti.

https://www.independent.co.uk/news/world/anti-soviet-warrior-puts-his-army-on-the-road-to-peace-the-saudi-businessman-who-recruited-mujahedin-1465715.html

Come contro i sovietici, Massoud riuscì a liberare la valle afgana:

«In una sola giornata, con un duplice attacco, 1800 mujaheddin hanno spinto fuori dalla città — Teleqan — 8 mila talebani, inseguendoli poi lungo la strada verso Kunduz, a ovest. Più di cento talebani uccisi e 150 prigionieri»
Ettore Mo, giornalista (Corriere della Sera)

Massoud dimostrò anche grandi capacità amministrative e politiche organizzando nelle zone controllate scuole, cantieri stradali e ospedali, uno tra questi dell’ONG italiana Emergency.


Massoud iniziò a viaggiare in Europa per chiedere sostegno contro l’avanzata e l’estremismo dei talebani.

Nell’aprile del 2001 tenne un discorso al Parlamento Europeo. Denunciò il sostegno del Pakistan ai Talebani e aggiunse: “Non chiediamo e non abbiamo bisogno di truppe straniere, il popolo afgano è pronto a difendere la propria patria, ma naturalmente questa resistenza ha bisogno di supporto”.

Min 0:00 + 5:55

https://multimedia.europarl.europa.eu/es/ep-president-receives-ahmad-shah-massoud-in-strasbourg-press-conference_20010400_44_004_p#ssh

Le sue richieste non furono ascoltate:

  • Il 9 settembre 2001 Ahmad Shah Massoud viene ucciso.
  • 2 giorni dopo, ci fu l’attacco terroristico alle torri gemelle, ufficialmente ideato da Osama Bin Laden, nascosto dai Talebani.
  • 28 giorni dopo iniziò la guerra e l’occupazione statunitense in Afghanistan, contro i talebani e contro il terrorismo.

Come fate a non capire che se io lotto per fermare l’integralismo dei talebani, lotto anche per voi e per l’avvenire di tutti?

Ahmad Shah Massoud


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FONTI

http://www.zeit.de/reisen/201 https://www.repubblica.it/esteri/2013/07/09/foto/kabul_anni_60-62622520/1/#1 3-03/fs-afghanistan-bill-podlich-2

https://www.youtube.com/watch?v=UZzBwDxurxs&list=WL&index=56&t=0s

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2016/10/06/news/afghanistan_il_bilancio_disastroso_di_15_anni-148244657/

https://www.youtube.com/watch?v=PMc61E1mfTs

https://www.youtube.com/watch?v=etVHdvMvOoM

https://www.independent.co.uk/news/world/anti-soviet-warrior-puts-his-army-on-the-road-to-peace-the-saudi-businessman-who-recruited-mujahedin-1465715.html

Documentario: Il tempo e la storia – Ahmad Shah Massoud, Rai 3 – non più disponibile

http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/09/08/ahmad-massud-l-eroe-afghano-massacrato-terroristi-due-giorni-prima-dell-11-settembre-1468b6a0-7501-11e6-86af-b14a891b9d65.shtml

https://www.youtube.com/watch?v=t78N6Q5VD60

http://watson.brown.edu/costsofwar/

Yemen, la guerra ignorata

Yemen – Immaginate di aver appena partorito un bambino, la gioia è la prima emozione che ci viene in mente se pensiamo ad un avvenimento di questo genere.
Non per le mamme e i padri yemeniti. L’ansia di non saper cosa dar da mangiare ai propri figli stringe nella morsa le famiglie yemenite dall’inizio di questa brutale guerra, che da ormai tre anni vede contrapposte le milizie sciite Ansarullah contro il regime saudita e i suoi alleati regionali.

Questa non è una guerra che si combatte solo con bombe e colpi di mortaio. Lo strangolamento economico è la nuova arma che sta mettendo in ginocchio un’intera popolazione. Più di 400mila bambini rischiano di morire di fame a causa del collasso dei sistemi di distribuzione del cibo e dei servizi base causati da questa guerra. Del porto, che scaricava l’80% dei beni importati in Yemen, insieme ai silos per la conservazione del grano, sono rimaste solo le macerie. Le bombe saudite li hanno colpiti come sono state colpite le infrastrutture economiche e fabbriche causando la perdita di lavoro di oltre 20mila persone. Migliaia di famiglie sono costrette a vivere con meno di tre euro al giorno portando due terzi della popolazione ad aver bisogno di supporto per ogni genere di servizio.

Quando poi la popolazione yemenita cerca supporto nelle strutture sanitarie per scampare dalla morte da fame o malattie, anche lì trovano le vie sbarrate: non ci sono antibiotici, anestetici e anche per le medicine più semplici sono costretti a pagarle salatamente da rifornitori privati.

Gli ospedali in Yemen sono al collasso come al collasso è il sistema bancario: nel 2016 i sauditi hanno trasferito la banca centrale nella regione controllata dai suoi alleati. Questa mossa ha lasciato oltre 1.5 milioni di operatori sanitari, insegnanti e lavoratori del settore idrico e igienico-sanitario senza retribuzione. Lasciato scuole, ospedali e altri servizi base senza budget e portato il prezzo del carburante e del cibo alle stelle, lasciando vivere gli yemeniti in una terra dove la vita non ha diritto di esistere.

La complicità della comunità internazionale

Mentre la comunità internazionale versa aiuti umanitari per il popolo yemenita, parte di quella comunità bombarda scuole, mercati e ogni genere di obiettivo civile, causando la morte di oltre cinquemila bambini. Mentre la comunità internazionale fornisce dati sulle vittime di questa guerra, parte di questa comunità firma contratti per far sì che questa guerra non finisca. E alla fine, come in ogni guerra, il primo a morire è proprio chi la guerra non la può e non la vuole fare.

11.2018