Alda Merini

La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buioa ghermirti nell’anima ferita.

La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.

Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d’amore.


Amore che giaci
dentro un’ampolla di vetro
per le ricerche nobili
di chi ha scoperto
il verde delle stagioni,
con gli arabeschi dei prati
abbiamo intesssuto la veste
e giubilando del nulla,
attoniti dentro la fede,
abbiamo gustato il vino
dell’incantevole inganno.


Gli aspetti della morte sono talvolta abnormi,
non dovrebbe passare giorno
senza aggiungere qualcosa
al nostro staio di grano,
da stranieri benevoli e confusi,
ma oggi io non ho dato nulla
perché ospitavo la morte,
la sua sostanza grigia mi ha investito:
una pietra che dava lacrime,
allora ho tremato a lungo
al pensiero di non scrivere più
e poi ho tremato ancora
quando ho cominciato a scrivere.


Lei desiderava un sorriso 
una musica muta
una riva di mare
per bagnarsi
il suo amore impossibile.
I suoi piedi nudi e piagati,
i suoi meschini capelli.
Lei ignorava che il ricordo
è un ferro piantato alla porta,
non sapeva nulla
della perfezione del passato,
del massacro delle notti solitarie
non sapeva che il più grande
desiderio
è un niente
che s’inventa stranissime cose,
e vola come un’idea
verso l’enciclopedia
del Paradiso.
Sogna
su un altare di piombo
e frusta strampalati pupazzi
che non portano mai allegria.


Spazio spazio, io voglio, tanto spazio 
per dolcissima muovermi ferita: 
voglio spazio per cantare crescere 
errare e saltare il fosso 
della divina sapienza. 
Spazio datemi spazio 
ch’io lanci un urlo inumano, 
quell’urlo di silenzio negli anni 
che ho toccato con mano.


E più facile ancora mi sarebbe
scendere a te per le più buie scale,
quelle del desiderio che mi assalta
come lupo infecondo nella notte.

So che tu coglieresti dei miei frutti
con le mani sapienti del perdono…

E so anche che mi ami di un amore
casto, infinito, regno di tristezza…

Ma io il pianto per te l’ho levigato
giorno per giorno come luce piena
e lo rimando tacita ai miei occhi
che, se ti guardo, vivono di stelle.